Balneari, lo Stato non fa gare... ma le vuole imporre per le spiagge
Gli appalti, fortunatamente, sono tornati a crescere. Esaminando tutti gli affidamenti sopra i 40.000 euro, ha spiegato il presidente dell'Autorità anticorruzione, Giuseppe Busia, nella sua relazione annuale al parlamento, l’importo totale nel 2021 è di 199 miliardi. Con una crescita del 6,6% rispetto al 2020, del 15,3% rispetto al 2019 e del 36% rispetto alla flessione del 2016, anno di entrata in vigore del nuovo codice dei contratti. A far salire il numero degli appalti, ammette l'Anac, sono state principalmente le deroghe temporanee alle norme vigenti. E già qui bisognerebbe farsi qualche domanda. Ma il dato più rilevante è quello sulla tipologia delle gare. Nel 2021 si è infatti registrato un maggiore ricorso da parte delle stazioni appaltanti agli affidamenti diretti e alle procedure negoziate. A fronte di un aumento della domanda del mercato, le gare "aperte" sono state solo il 18,5% delle procedure totali. Il presidente dell'Anac ha detto che così non va. Le procedure d'urgenza e derogatorie, ha ammesso Busia, hanno "senz'altro velocizzato gli affidamenti, ma hanno anche avuto ricadute negative sulla concorrenza e sulla partecipazione alle gare, sulla selezione delle migliori offerte e, quindi, sull'efficiente, efficace ed economica gestione della spesa pubblica". Il quadro complessivo è chiaro: anche se la gara pubblica è la modalità migliore sulla carta e consigliata dalla Ue, lo Stato nell'80% dei casi ha preferito affidare lavori e servizi in altri modi. Resta da capire per quale motivo sembra vitale che le concessioni balneari siano assegnate con una procedura che la pubblica amministrazione, quando può, evita.