Jannik Sinner? Toh, ecco chi spunta quando non gioca: che miseria...
Quello che state leggendo è l’ennesimo pezzo – il sospetto è che ne scriveremo molti altri – dedicato a coloro che succhiano il sangue a Jannik Sinner, si alimentano con la sua luce riflessa, approfittano di qualunque polemicuccia per grattare brandelli di celebrità dalla capa del rossastro e metterseli in saccoccia. E non ci sarebbe niente di male se si trattasse di scrivere «quanto è bello, quanto è bravo» (il qui presente lo fa praticamente tutti i giorni), ma qui siamo all’esatto opposto, ovvero alla pratica di chi sceglie di non uniformarsi al pensiero comune e così facendo si eleva a intellettuale che mai e poi mai bacerebbe l’anello del fenomeno della racchetta. E siccome quello è “fenomeno” e in campo perde praticamente mai, lo punzecchia su tutto ciò che col tennis c’entra nulla, la sua vita privata, la sua agenda, il modo in cui gestisce il suo - raro - tempo libero.
Il brontolone di turno ha le fattezze di Giancarlo Dotto, grande firma del giornalismo che su Dagospia ha scritto così: «La verità? Sinner non ha una patria, è la patria di se stesso. Fa lo schizzinoso con i nostri altarini nazionalpopolari, li schifa proprio, ma si tura il naso quando si tratta di marchette milionarie, a destra e a manca». E ancora: «Sinner fattura come il Perù. Mai stato mamelico forse. In compenso, tanto compenso, è diventato famelico. Lui la nuova Heidi dei nostri giorni. Oggi è più temerario sparlare di Sinner che di Padre Pio».
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Una bella badilata di fango a sfregio, giusto per risultare originale e generare un qualche tipo di reazione. Obiettivo parzialmente raggiunto, tra l’altro, dal momento che in queste ore gli sta rispondendo chiunque, noi compresi, ma non lui, Jannik l’altoatesino. Ed è proprio questa sua indifferenza che, presumibilmente, fa ammattire i grandi pensatori, abituati a suscitare rabbia nei diretti interessati ogniqualvolta affilano le loro penne, ma non in questo caso. Jannik tace, se ne fotte, si dimostra superiore e lascia che certe faccende si trasformino in perdibilissimo bla bla.
Nel caso specifico ci piace concludere con due considerazioni. La prima è griffata Paolo Bertolucci, leggenda della racchetta azzurra che su X ha riassunto tutta la questione con tre significative parole: «Cattiveria senza limiti». La seconda ci riporta al campo, ovvero a tutto quello che ci dovrebbe interessare quando si parla di uno sportivo. Lo avvertite il silenzio? La sentite la mancanza? Noialtri un po’ sì. Quando gioca Jannik la settimana è piena, appagante, goduriosa; quando non gioca ci si ritrova a dover slalomeggiare tra le polemicucce, in attesa che il ragazzo torni a sfoderare la racchetta e annienti a suon di diritti ogni inutile gne gne gne.
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