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Dal Toro fino alla Luna: addio a Gian Paolo Ormezzano

Fabrizio Biasin
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Quando muore un Gigante si fa a gara a dire «Io lo conoscevo». Siamo fatti così, è cosa umana. È successo anche ieri, perché nei giorni delle magnate senza ritegno e dei panettoni (sigh) è caduto Gian Paolo Ormezzano, 89 anni, gigantissimo del giornalismo (o di quel che ne è rimasto). Il qui presente no, non lo conosceva se non per quello che scriveva e diceva e, quindi, prendete queste poche righe per quello che sono: un doveroso e sentito omaggio a un totem, di quelli rari e difficilmente raggiungibili.

Per raccontare Ormezzano qualcuno partirebbe dalla definizione di “giornalista sportivo” e peccherebbe di avarizia, ché quello è stato molto di più, altro che balle. Torinese, ha raccontato lo sport al suo massimo livello, certo, ma anche i fatti e i personaggi più importanti del vecchio e nuovo secolo e, soprattutto, lo ha fatto con uno stile inconfondibile, unico, del tipo che lo riconoscevi anche senza leggere la firma: «Questo è un pezzo di Ormezzano, ci scommetto».

 

Questa roba qua, la riconoscibilità, è esattamente la discriminante tra gli scribacchini e le leggende, tra i figli dell’intelligenza artificiale e gli artisti. Ormezzano era un artista, padroneggiava la scrittura e diffondeva stile. Partì negli Anni ’50 alla Gazzetta del Popolo e passò a TuttoSport, quotidiano torinese del quale fu celebrato direttore dal 1974 e per quattro anni. Ecco, Tuttosport. A Torino puoi scegliere di essere due cose: tifoso del Torino o della Juve e lui non aveva mai avuto dubbi, complice il dna. Papà fin da bambino lo portò a vedere tutte le partite degli Invincibili, il Grande Torino, squadra senza euguali e devastata in quel giorno maledetto a Superga.

E uno dice «Ecco, il solito giornalistaccio appassionato di pallone e niente più». Ma quando mai. Ormezzano amava il ciclismo più delle sue stesse viscere, ma anche qualunque altra disciplina che contemplasse vincenti e sconfitti, al punto di diventare medaglia d’oro assoluta di inviature a Giochi Estivi e Invernali: oh, ha raccontato la bellezza di 25 edizioni (venticinque!). E ne ha combinate e viste di tutti i colori costui, eccome: dalle Olimpiadi romane allo sbarco sulla Luna direttamente a Cape Canaveral, dall’attacco terroristico ai Giochi di Monaco 1972 al trionfo mondiale degli azzurri di Bearzot nel 1982. Punta di diamante de La Stampa fino al 1991, è stato editorialista a Famiglia Cristiana, al Guerin Sportivo e pure volto critico e opinionista al mitico 90° Minuto della Rai nella stagione 2015/16. Vi basta?

No? E allora andiamo avanti. Maestro di battuta sapida e spiazzante (tipica dei grandi, of course), ha scritto anche libri celebrati e avvincenti tra cui Storia del ciclismo, premio Bancarella Sport 1978. La notizia ha reso amarissimo il giorno 27 dicembre 2024 dei tanti che lo apprezzavano, anche solo per la sua capacità di sapersi prendere molto poco sul serio. Lascia moglie e tre figli. Uno, Timothy, dal padre ha preso tanto: la voglia di fare il giornalista e la penna affilatissima. Tra gli altri, piange anche un altro figlio, il “suo” Torino, che ieri ha dedicato un lungo e sentito post per il suo tifoso più grande: «...Spesso lo ha scritto di altri, ma nel suo caso e nell’impossibilità di ricordarlo per tutto quanto ha fatto, è davvero appropriato: faticherà molto a nascere, se mai nascerà, un altro come lui». Ma sul serio.

 

 

 

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