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Andrea Belotti, non solo gol: ecco perché è fondamentale per l'Italia di Mancini

Davide Locano
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Sono passati poco più di cinque mesi dall' esclusione di Andrea Belotti dai convocati per le partite contro Finlandia e Liechtenstein del marzo scorso e il mondo del Gallo si è rovesciato, risvegliato. Quello del pallone è un pianeta liquido, offre opportunità e possibilità di rilancio quasi immediate, servono tuttavia l' intelligenza e la prontezza calcistica per coglierle. Belotti le ha avute entrambe: dall' essere esubero di lusso, spettatore, obbligato da un Mancini poco convinto di lui a far posto a Immobile (sua vera e concreta alternativa), a Pavoletti (adesso infortunato, non torna prima di marzo), a Lasagna (per lui giovedì sette minuti finali al posto di Bernardeschi) e in futuro, chissà, al possibile redivivo Balotelli, oggi Andrea reclama a ragione il posto di centravanti titolare della Nazionale. Le due reti contro l' Armenia (che non ha Beckenbauer in difesa, eppure è sempre cosa buona e giusta ricordarsi cosa è successo contro la Svezia a fine 2017: zero gol in due partite, in campo c' era pure lo stesso Belotti) dimostrano la varietà del suo repertorio: la prima con un tocco ravvicinato dopo aver seminato il proprio marcatore; la seconda con la sportellata al difensore e giravolta in un fazzoletto, seguita da un rasoterra mortifero. È un attaccante di vecchio stampo, il Gallo: non tecnicissimo se il metro di paragone sono i piedi di Benzema, non appariscente in confronto a un Harry Kane, non "carogna" quanto può essere un Luis Suarez. Eppure Andrea è uomo squadra, è uno che trascina, è uno che se hai bisogno di trovarlo in area per buttarla dentro difficilmente si "chiama fuori". Gli ha fatto più male che bene quando è stato chiamato "mister 100 milioni", non perché sia andato in tilt, quanto perché il contesto attorno a lui non era quello che poteva supportare un bomber da tale valutazione. Nella sua dimensione di leader del Toro, Belotti certifica la propensione di attaccante al servizio della causa, dove l' acuto personale è come un assolo di gruppo. Concludere il lavoro della squadra è il suo mestiere, servirebbe trasportare questa filosofia anche in Nazionale affiancandogli compagni che lo valorizzino, piuttosto che ridurlo a mera alternativa. Le qualità tecniche di Chiesa e Bernardeschi, giusto per restare a chi è partito titolare assieme a lui contro l' Armenia, non si discutono, ma la loro eccessiva propensione al protagonismo finalizzativo lo possono penalizzare: se Belotti deve servire ad aprire gli spazi per chi si accentra e cerca il gol tirando, siamo fuori strada. Non è un caso che le reti siano venute quando è stato servito a dovere: il cross dalla sinistra di Emerson per l' 1-1, il passaggio spalle alla porta dove è maestro nel fare perno sul difensore, l' imbucata per il 4-1 annullatogli per fuorigioco inesistente. Il Gallo c' è, ed è sveglio. di Tommaso Lorenzini

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