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La Coppa dei non campioni. Addio Messi, CR7 e Neymar: il segreto di un anno pazzo

Cristina Agostini
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Mettiamo il caso che esista in Italia qualcuno che non sappia cos'è il calcio. Utopia pura, ok. Se decidesse di colmare la lacuna, probabilmente questo personaggio virtuale andrebbe su Google, scriverebbe la parola magica e dalla prima descrizione a disposizione - Wikipedia - apprenderebbe che il calcio è "sport di squadra". Elementare, no? Talmente elementare che i milioni, i miliardi che invece di calcio sanno o pensano di sapere, hanno dimenticato, scavalcato questo assioma. Messi e Ronaldo, Ronaldo e Messi, e il nuovo che avanza, o dovrebbe avanzare da mo', Neymar, Mbappé, financo il nuovo fenomeno brasiliano del Real, Vinicius Junior: chiacchiere, dispute, pronostici finiscono sempre lì, e allora il Calcio, quello vero è descritto enciclopedicamente da Wikipedia, ha voluto allineare gli astri in maniera che potesse tornare a galla la sua vera essenza proprio nella competizione di maggior livello, la Champions League. IDEE - E spirito di gruppo Si gioca in 11, anzi, in 14, si vince e si perde con lo stesso quantitativo di gente. Avere tra questi uno che ti può fare la differenza con una o più giocate aiuta, eccome: ma il messaggio che giunge forte e chiaro dall' Europa è che idee, collettivo, tattica, ma soprattutto compattezza e spirito di gruppo possono scavalcare qualsiasi totem ci si trovi di fronte. I veri crack, a questo giro di Coppa, sono seduti in panchina, a cominciare da Jürgen Klopp, la riuscita versione calcistica delle teorie di Erasmo da Rotterdam, e la follia indirizzata del tecnico tedesco ne merita, di elogi. Il suo Liverpool avrebbe potuto iscrivere un giocatore all' elenco di fenomeni veri e presunti di qualche riga fa, Mo Salah. Che era assente, al pari di Firmino, play-maker offensivo di indubbia classe. Per Klopp, e per tutti i suoi, una disdetta grossa diventata un' opportunità, una filosofia che mixando feroce energia, carisma e sorriso, l' allenatore ha saputo trasferire ai suoi fino alla porta di ingresso in campo, quella dove sta scritto "This is Anfield". Con ritmo, ordine, disciplina e voglia, i Reds hanno incantato il mondo anche senza megastar, anche se in porta e in difesa (Alisson e Van Dijk) hanno due numeri uno del ruolo. La leggendaria goleada è stata addirittura firmata da Origi - riserva di Salah - e Wijnaldum, apparente comprimario olandese subentrato a partita in corso. Non è Cruijff, è una valida e tecnica mezzala brava a dare via palla e buttarsi dentro, e Valverde, tecnico del Barcellona, quella mossa non l' ha letta, non l' ha capita. Aspettando la pulce - È troppo abituato a giocare per Messi, ad aspettare che là davanti - come successo nel match di andata - qualcosa succeda. Così come a Parigi passano gli anni e i miliardi - sì, ormai si parla di miliardi - e i Cavani, i Neymar, gli Mbappè non trovano qualcuno in grado di inserirli in un progetto che metta la squadra, al centro, non loro, passaggio più che obbligato per potere finalmente contare qualcosa nel mondo. E anche su Allegri, sull' uscio della porta della Juventus, il dibattito su questo pesante limite è aperto da tanto e ora (vedi alla voce Adani, e soprattutto Andrea Agnelli) è forse arrivato il momento di tirare la riga dei conti. A Torino sognano Guardiola, che certamente è ritenuto ancora il mahatma del calcio interpretato come insieme, come collettivo: ma quest' anno è stato fregato da Pochettino, Re Mida del Tottenham. E che dire del suo opponente in semifinale Ten Hag, dell' Ajax tornato a dettare la strada del gioco come ai tempi di Michels o di Van Gaal, e con ragazzi di 20 anni come leader tecnici? Sarà stata la Coppa dei non-Campioni, questa, ma certamente e in ogni caso va in archivio come una delle più belle degli ultimi due decenni. E pure questo, sarebbe da scrivere su Wikipedia. P.S. Il Tottenham va in finale grazie a un altro "miracolo" e senza Harry Kane, il suo top player: un caso? di Davide Gondola

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