Mino Favini, addio al magio dei giovani: il ritratto e la storia del campione a trovare campioni
Mino Favini aveva 83 anni e ogni volta che ti parlava - che fosse per analizzare una partita della Primavera, per descrivere qualità e difetti di un ragazzino appena sbarcato a Zingonia o anche solo per fare due semplici chiacchiere di football - ti fissava dolcemente nelle pupille senza mai distrarre lo sguardo. E ti trasmetteva passione ed emozione, coinvolgimento, entusiasmo, equilibrio e a volte anche severità, ma mai soggezione perché lui era per tutti un maestro di calcio, ma ti trattava da compagno e amico. Da padre. Ecco perché chi l' ha conosciuto, prima di rimpiangere il più grande talent scout degli ultimi 50 anni, piange l' uomo educato, sensibile, intelligente, buono, affettuoso e la magia è che tutto questo di solito lo si dice quando qualcuno non c' è più, mentre per lui lo si diceva e lo si pensava anche prima, tutti giorni. Sempre. Mino Favini è morto ieri a Meda - per le conseguenze di un ictus che nelle ultime settimane gli aveva tolto energia e sorriso - dove era nato il 2 febbraio del 1936. Dopo una buona carriera come mezzala (cresciuto nella squadra locale con cui ha debuttato in Serie D, ha poi disputato tre campionati di serie B con il Como e tre col Brescia, per poi esordire in serie A con l' Atalanta - 37 gare e 4 reti - tornare al Brescia e concludere la carriera nella Reggiana), ha iniziato subito a lavorare con i ragazzi del settore giovanile del Como e in poco tempo si è capito che stava per nascere il più grande scopritore di talenti e insegnate di calcio di sempre. L'INTUIZIONE SUI BASSI Un maestro, appunto, ma anche un educatore e un mago. Il Mago di Meda. Favini sapeva leggere in un attimo il futuro di un giovane calciatore - da uno stop, un passaggio o un movimento - ma è guardandolo dentro che capiva se sarebbe diventato un campione. Perché più della tecnica e della tattica, lui chiedeva la buona educazione e pretendeva rispetto e serietà. Come dire: solo una persona vera può diventare un calciatore vero. Ed è stato sempre così. Nel Como ha costruito e lanciato giocatori come Vierchowod, Notaristefano e Borgonovo, ma spesso a lui piaceva parlare di Matteoli. Perché anche in quel caso è stato avanti, moderno, intuitivo. Erano gli anni in cui nelle selezioni venivano presi solo ragazzi forti fisicamente e alti, gente con il corpo già da adulto. Lui no, capì che anche i piccoletti, nel calcio del futuro, avrebbero avuto spazio e anzi sarebbero stati decisivi e allora punto su Matteoli che rispetto agli altri sembrava un nanetto. Fu il primo di una lunga serie di campioni in miniatura e non a caso poi, negli anni dell' Atalanta, Favini ha sempre coccolato - tra i tanti - soprattutto due giocatori che tutto erano meno che dei giganti: Federico Pisani, poi morto in un incidente stradale a 23 anni, e Domenico Morfeo, forse il più grande talento mai sfornato dal vivaio bergamasco negli ultimi tren' tanni. Già, l' Atalanta. Favini ci è arrivato all' inizio degli anni Novanta e per 25 stagioni ha gestito quello che nel tempo è diventato il settore giovanile più prolifico e invidiato d' Europa, capace di allevare tanti ottimi calciatori e qualche campione: da Pazzini a Bonaventura, da Caldara a Conti tanto per fare qualche nome recente. LA BANDA PRANDELLI Il gruppo più caro a Favini, però, è sempre stato quello della Banda Prandelli, la Primavera che nel 1992-93 ha vinto scudetto e torneo di Viareggio (perdendo la Coppa Italia solo dopo una discussa finale con l' Udinese) e che ha incantato per gioco, qualità e mentalità. Tutti protagonisti di quella rosa (la squadra tipo era Ambrosio; Foglio, Viali, Pavan, Tresoldi; Capecchi, Tacchinardi, Poloni, Locatelli; Morfeo, Pisani) arrivavano dal vivaio e tutti hanno poi fatto i professioni. Era l' incarnazione del perfetto lavoro di Favini e del suo staff, anche perché l' allenatore - Prandelli, appunto - parlava la stessa lingua di Favini che lo trattava come un figlio: bene il calcio, ma prima bisogna essere uomini e persone educate e vere. Mino Favini se ne è andato, ma non se ne andranno mai i suoi insegnamenti e l' Atalanta che ora lo piange sa che lui sarebbe orgoglioso di questa squadra che vince e stupisce con il gioco. E lo fa grazie a un allenatore come Gasperini, uno che insegna a giocare a pallone e valorizza in prima squadra i ragazzi che arrivano dal vivaio. di Alessandro Dell'Orto