Giovanni Malagò, la ricetta contro la violenza negli stadi: "Dopo un coro razzista, tutti a casa"
Il numero uno del Coni, Giovanni Malagò, freme davanti alla tv mentre segue la discesa libera di Bormio, per poi esultare alla doppietta azzurra. Paris primo, Innerhofer secondo: «Evvai!». Presidente, giornata pazzesca per lo sci come pazzesco, ma di tutt' altro segno, è il momento del calcio, visti i fatti di Inter-Napoli. «Ripugnante, sia gli scontri fra ultrà, sia i buu razzisti verso Koulibaly. Ne abbiamo parlato con il presidente Figc Gravina ed è giusto che oggi si giochi, però serve fermare sul nascere questi fenomeni: una volta sentito il coro, si va tutti a casa. Basta una sola persona per decidere, non ci devono essere scambi di ruoli». Idee per stroncare questi avvelenatori dello sport? «Quello che è stato fatto in Inghilterra, dalla riforma Thatcher in poi, è l' esempio da seguire. Stadi dove si sta seduti, telecamere che individuano i comportamenti illeciti, steward addestrati e sempre in contatto con le forze dell' ordine, misure coercitive immediate e zero cavilli a cui appigliarsi. Serve l' intervento normativo e politico che ho sempre reclamato e non è stato ancora fatto. Anche se sembra che qualcosa si stia muovendo». Eppure, la politica non solo non guarisce il calcio ma sta per creare problemi a tutto lo sport con la riforma del Coni. «"Riforma" non è la parola adeguata, magari chiamiamolo cambiamento. La tempistica del governo è sbagliata, la fretta con cui si sono mossi è sbagliata: l' ho detto al sottosegretario Giancarlo Giorgetti e a Simone Valente, responsabile sport dei Cinque Stelle. Serviva attendere la fine del quadriennio olimpico. A giugno si vota per l' assegnazione delle Olimpiadi invernali 2026, Milano-Cortina contro Stoccolma, e la "riforma" potrebbe anche influire in negativo. Mi pare una forma di autolesionismo». Lei come si è mosso? «Ci siamo presentati ai colloqui con delegazioni trasversali. C' erano anche l' olimpionica Giulia Quintavalle, consigliere nazionale; Oreste Perri, presidente del Coni Lombardia; Michele Maffei, presidente dell' Associazione delle Medaglie d' oro al Valore. E avete sentito Lollo Bernardi, Bebe Vio, Federica Pellegrini, Daniele Lupo? Atleti che hanno gareggiato nel mondo e visto cosa significa farlo sotto l' egida del Coni: hanno tutti chiesto di fermare questo intervento a gamba tesa». Risultato? «Nessuna nostra istanza è stata accolta, la creazione della "Sport e Salute" al posto della Coni Servizi è stata irreversibile. Cosa succederà al personale? E c' è la questione del simbolo del Coni, con lo scudetto tricolore. Sarà destinato a scomparire a livello territoriale ed è illogico, è un marchio fortissimo, un simbolo verso il quale il milione di volontari che operano per il Coni nutrono un grande senso di appartenenza. In più, parlano tanto di tagliare gli sprechi». Però? «Il cambio di immagine costerà almeno 5 milioni. Auguri a chi si dovrà occupare di "vendere" il brand "Sport e Salute". C' è poi una questione formale che è anche sostanziale». Quale? «Per dare effetto a questa "riforma", non dimentichi le virgolette, c' è anche da cambiare la Legge Melandri, che regola lo sport: da ora in poi l' esistenza della Giunta del Coni (l' organo esecutivo) e del Consiglio Nazionale (l' organo deliberativo) non ha senso. Si rischia di creare un mostro giuridico». Malagò, perché sorride? «È un sorriso amaro. A gennaio avremo la Giunta a Bolzano: stando alla "riforma", ci sarà gente che non avrà più titolo per starci. Che facciamo, li mandiamo via? Per non parlare del Consiglio Nazionale: oltre il 60% dei suoi componenti non ci potrebbe più stare». Come si sente? «Prima ero arrabbiato, adesso però sta a loro dimostrare che hanno ragione... ma non diminuisce la mia preoccupazione. La sintesi è semplice: dallo Sport in mano allo Sport, passiamo allo Sport in mano alla politica. È un tradimento degli ideali a cui si rifanno Lega e M5S». C' è chi parla di conflitto di interessi sulla figura del presidente. «Ne abbiamo discusso in uno dei colloqui: dopo la mia risposta sono rimasti muti, prima di darmi ragione». Cosa ha risposto? «Prima di tutto che né il ministero dell' Economia, che è il nostro azionista, né un qualsiasi governo e neanche la Corte dei Conti hanno mai trovato scorrettezze nella nostra gestione. Mai. Poi ho spiegato loro che il presunto conflitto di interessi è una balla». Lo spiega anche a noi? «Loro sostengono che il presidente, essendo eletto da quelle federazioni alle quali poi elargisce i contributi pubblici, si comprerebbe così il voto. Peccato, però, che la cifra dei contributi è fissa e se io, ad esempio, prometto 1 milione alla Federbocce per averli dalla mia parte, quel milione devo toglierlo a un' altra federazione, che ovviamente mi faccio nemica. Non sapevano cosa replicarmi. Per colpa della loro riforma anche lo sport, soprattutto quello di base che oggi, gestito dal Coni, supplisce alla totale carenza di attività fatta nelle scuole, rischia di finire nella palude del peggior clientelismo politico». Come? «Mentre al Coni, dove finora tutte le cariche erano elettive, saranno garantiti 40 milioni per l' attività sportiva di vertice, la "Sport e Salute", che gestirà 370 milioni ancora non si sa come, sarà presieduta da un cda composto da un membro scelto dal Coni ma soprattutto da un presidente nominato dal sottosegretario allo Sport di turno, da uno nominato dal ministero della Salute e da un altro nominato dal ministero dell' Istruzione. Se non è un consegnarsi alla politica... Almeno, unica cosa buona, è previsto il finanziamento automatico allo sport con tetto minimo del 32% delle entrate dello Stato». Presidente, nel 2020 scade il suo mandato: cosa farà? «Con questa legge non penso di ricandidarmi». Si butterà in politica? «Credo proprio di no». di Tommaso Lorenzini