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Jonathan, redivivo nerazzurro:"Sono tornato dall'inferno"

Jonathan

La rinascita del difensore che tutti fischiavano: "Ranieri diceva che ero inadeguato, Mazzarri mi ha solo chiesto di lavorare. Sono ossessionato da Maicon"

Andrea Tempestini
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Jonathan Cicero Moreira ha un nome da telenovela della mutua e una storia da libro Cuore: vince la Libertadores con il Santos, gli danno del fenomeno, arriva in Italia, pare un pippone, viene sommerso da insulti animaleschi tipo «è il fratello scemo di Maicon», mastica fango, si tappa le orecchie, lavora, lavora e lavora, corre, corre e corre e, infine, incrocia Walter Mazzarri. «Appena è arrivato ha voluto parlarmi come ha fatto con tutti quanti». Era il periodo in cui nessuno avrebbe scommesso una cicca su di te. Cosa ti ha detto? «“Io non guardo come ti chiami, non guardo l'età, valuto i fatti. Tu pensa solo ad allenarti”. Mi ha fatto capire che contava su di me anche se giravano voci su altri giocatori in arrivo, è stato fondamentale». E così, Jonathan, dopo due anni di critiche ha meritato gli applausi. È stata dura? «Un po'. Facevo dentro e fuori, non avevo continuità. L'esperienza a Parma mi ha permesso di capire il vostro calcio». Da zavorra a punto di forza: insieme ad Alvarez sei il simbolo della rinascita nerazzurra. Sei sorpreso anche tu? «No, so quanto valgo. E lo sa anche l'Inter: quando un club così importante decide di acquistare un giocatore sa quel che fa. A volte ci vuole del tempo per ingranare». Ci sono partite in cui sei stato sommerso dai fischi. Hai mai pensato «forse è meglio se vado via»? «Qualche volta sì. Venivo attaccato anche se in campo facevo il mio dovere e non capivo perché. Ho provato a mantenere la calma, in fondo nel calcio si cambia opinione ad ogni partita. In Brasile si dice “cielo e inferno”». Al tuo arrivo noi giornalisti ti abbiamo reso la vita facile: “Ecco l'erede di Maicon”. «Tutti i giorni mi dicevano: “Sei l'erede di Maicon, giochi nel ruolo di Maicon, sai chi è Maicon...”. Ero circondato. La verità è che siamo due giocatori diversi». Domani non ci sarà nell'attesissima Inter-Roma. «È il terzino più forte del mondo: ha forza, tecnica. Mi dispiace per lui, ma per noi è molto meglio così». Domanda infame: cos'è cambiato da Strama a Mazzarri? «Non è vero che quest'anno ci alleniamo di più, ma è vero che facciamo un lavoro diverso. Il mister cura i dettagli, la tattica». La fase difensiva in particolare è migliorata molto. «Ogni allenamento parlo con il mister e con lo staff. Ho ancora dei difetti, devo migliorare nelle diagonali per esempio». Come sta un brasiliano in uno spogliatoio pieno di argentini?  «Stiamo benissimo. L'Inter è una famiglia, gli argentini sono di più, ma ci sono colombiani, uruguaiani...». Vi frequentate anche oltre l'allenamento? «Io veramente no, sto con mia moglie e mia figlia. Devo accompagnarla a scuola al mattino: si va a letto presto e ci si alza presto».  La cosiddetta... vita da atleta. «Ognuno nel privato fa quel che vuole, soprattutto se poi in campo fa bene il suo lavoro». Il punto più basso e quello più alto della tua esperienza italiana? «L'anno scorso sentivo frasi come “quello non è lui, è suo fratello”. Forse è mancato un po' di rispetto, ma fa niente. Oggi è diverso, sento la fiducia dei compagni e dei tifosi». ...E con la Fiorentina hai segnato un gol da tre punti. C'è chi si sarebbe buttato in mezzo alla folla, tu hai esultato con contegno. «Se tolgo la maglietta prendo l'ammonizione. Bisogna rimanere concentrati. Sono un difensore: le ammonizioni le devo spendere bene...». Raccontami in breve la tua esperienza italiana. «Gasperini mi ha voluto e dopo due mesi è stato mandato via. Poi è arrivato Ranieri e mi diceva “Non sei tatticamente adatto”. Donadoni a Parma mi ha dato grande fiducia».  La sparo grossa: ora sei quasi un'icona per i tifosi dell'Inter. «Tutti i giocatori sono importanti per la squadra: si vince e si perde insieme. E poi abbiamo giocato solo 6 partite, non è il momento dei giudizi, restiamo con i piedi per terra». D'accordo i piedi per terra, ma è il momento del domandone: qual è il vostro obiettivo? «Chiunque indossi la maglia dell'Inter deve pensare allo scudetto. Poi ci sono gli avversari, è ovvio, ma almeno la zona Champions è fondamentale: l'Inter deve giocare sempre in Champions».  Domani a San Siro arriva la Roma capolista e sempre vincente. Timori? «Hanno una difesa solida, non prendono gol. Sarà una prova per noi, ma anche per loro: è la partita più difficile per entrambe». Loro hanno Totti... «È un campione, la bandiera, un giocatore fondamentale: se fa girare la palla per noi è un casino. Noi invece aspettiamo Zanetti, tornerà presto».  Facciamo lo sciocco gioco del pronostico: quanto finisce? «Speriamo di vincere. Anche 1-0, sono sempre tre punti». Magari con un gol tuo? «Eh, speriamo...». Dall'altra parte del campo gioca Nagatomo, anche lui rigenerato. Vi capite? «Parliamo in italiano. Lui a volte azzarda il portoghese...». A fine stagione c'è il Mondiale, hai presente? «Nel Brasile sono tutti fortissimi. Nel mio ruolo per esempio ci sono Maicon e Dani Alves, ma io ho pazienza. Penso a lavorare, ho sempre fatto così...». intervista di Fabrizio Biasin

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