Alejandra più bella che bravaKo la ministra cocca di Chavez
Benitez era la punta di diamante della spedizione sudamericana a Budapest, ma è stata fatta fuori agli ottavi
Bella, impegnata e pericolosa: Alejandra Benitez ha tutto per far parlare di sé. Ministro dello Sport in Venezuela dopo una carriera da modella, la Benitez era la punta di diamante della spedizione sudamericana ai Mondiali di Budapest. Una sorta di Valentina Vezzali di Caracas, ma con molta esperienza politica in più (12 anni da deputata alle spalle) e meno trionfi in bacheca: solo due argenti ai Giochi sudamericani. Dopo aver ormai abbandonato la carriera da odontoiatra - che la accomuna più alla Minetti che alla Vezzali - a 33 anni e con tre avventure olimpiche alle spalle la Benitez cercava un ultimo grande risultato in Ungheria. Non le è andata bene: dopo aver vinto due assalti (il primo con l'azzurra Livia Stagni 15-12), la venezuelana si è dovuta arrendere negli ottavi alla regina ucraina Olga Kharlan che l'ha umiliata 15-3. Colpa forse dei troppi impegni di governo che le hanno permesso di allenarsi appena due ore al giorno. Un compito non facile quello di reggente del Ministerio del poder popular para el deporte. A sceglierla per quel ruolo è stato Nicolas Maduro, il successore di Hugo Chavez, che aveva pensato alla sexy e affascinante atleta per portare avanti la lotta all'obesità infantile. Un atto politico che aveva suscitato non poco scalpore in Venezuela: a corredo della notizia, infatti, tutti i media di Caracas avevano riproposto un servizio fotografico sexy di Alejandra del 2008. Ma più delle immagini, per la sua carriera istituzionale hanno contato gli ottimi rapporti intrattenuti per anni con lo stesso Chavez, che aveva sempre coccolato e protetto la sua pasionaria. «Prima di andare in pedana, ricevevo sempre una telefonata del lider maximo. Mi diceva: “Conta sul tuo presidente, conta sul tuo popolo: sei la spada della revolucion», ha raccontato lei di recente. Un'altra spada - una sciabola, a dir la verità - ormai spuntata per colpa della politica. di Domenico Secondi