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Il ritratto di Sir Alex FergusonScontroso, divoratore, vincente

Sir Alex Ferguson

Dopo 26 anni si chiude un'epoca. Da Giggs a Rooney, ha "inventato" decine di fenomeni. Leggendarie le sue sfuriate: a Beckham tirò anche una scarpa in testa

Andrea Tempestini
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  di Tommaso Lorenzini @TexBomb «Bloody hell», porca miseria, come sintetizzò in tv dopo aver vinto l'insperata Champions 98/99 contro il Bayern grazie al 2-1 Sheringham-Solskjaer dopo il 90', nel «Fergie Time». Alex Ferguson vince la sua 13ª Premier e lascia il Manchester United, va in pensione con un comunicato sul sito del club, spiegando che dopo 26 anni «è il momento giusto». E stavolta è vero, niente ha potuto la moglie Cathy (sposata nel '66) che lo fece desistere nel 2001 guadagnandosi un coro tutto per sé da parte del tifo Red Devils . Non sarà il suo coccodrillo, Alex  è pronto a diventare ambasciatore della società, ma di certo è il necrologio di una stagione irripetibile, ideata e diretta da un tipo scontroso e dallo slang scozzese ai limiti del comprensibile, il cui primo discorso nello spogliatoio dell'Old Trafford è stato «il fatto è semplice: dobbiamo cominciare a raccogliere risultati». Nove parole masticate insieme ai suoi chewing gum. Pare che ne faccia fuori un pacchetto da 14 ogni 45 minuti di partita. Al 19 maggio, giorno della sua ultima panchina, i match con lo United saranno 1.489... Ma i numeri reali sono i 38 trofei vinti nella Manchester «vera, non quella dei vicini chiacchieroni» del City: 13 Premier, 2 Champions, 2 Mondiali per club, 1 Coppa delle Coppe, 1 Supercoppa Europea, 5 FA Cup, 4 Coppe di Lega, 10 Community Shield. Ingaggiato il 6 novembre '86 per 60.000 sterline, ora il “Boss” guadagna 10 milioni di euro a stagione. Dopo che i rumors sul suo addio si stavano moltiplicando, ieri ha dovuto uscire allo scoperto, perché il disastrato club che prese in mano a fine Anni 80 (i fasti dell'era Best erano a quel punto lontanissimi) adesso è quotato in Borsa. Merito e potere di un «laburista a vita» appassionato di vini e cavalli, ancora incazzato «per la miseria che i Tories hanno provocato in Scozia», lui che ha inventato la figura del manager calcistico ancor prima di diventare un totem. La sua più grande lezione è stata  masticare, masticare, masticare: gli era stato chiesto di vincere, il primo trofeo - una Coppa d'Inghilterra - l'ha conquistato nel 1990 dopo l'inequivocabile striscione dell'Old Trafford: «Tre anni di scuse e di stronzate». Sarebbe possibile, oggi? In 26 anni il Real ha cambiato 24 allenatori, l'Inter 19, il Chelsea 18, Bayern, Juve e City 14, il Milan 13. Lui ha battuto il record (25 anni) di Matt Busby. Ai suoi ordini sono cresciute tre generazioni di giocatori, osservati dagli uffici rialzati e tenuti lontani dai genitori ficcanaso grazie a una tribuna «tutta per loro» fatta costruire a cento metri di distanza. È forse per questo che, presi da pivelli, tanti sono usciti fenomeni. Giggs, Cantona, Schmeichel, Keane, Beckham, Scholes, i fratelli Neville, Cristiano Ronaldo, Rooney: li ha inventati lui, i Fergie's Fledgling (la covata di Ferguson) eredi di quei Busby Babes drammaticamente ascesi al mito nel 1958. Bobby Charlton si salvò dall'incidente aereo, di Alex è poi stato il più caldo sostenitore. Non certo come Alan Hansen, ex stella del Liverpool che nel '95 lo rimproverò in diretta BBC: «Non vincerai mai niente con i ragazzini». Infatti arrivarono campionato, FA Cup e Community Shield. Nato a Glasgow da Alexander (operaio navale, protestante) e Elizabeth (operaia), il cattolico Ferguson boccia spesso a scuola e da giovane lavora alla Remington Rand, macchine da scrivere e rasoi, passando poi per i cantieri dove era stato il padre, facendo pure il sindacalista. Unico licenziamento in carriera quello patito al St. Mirren, nel '78, quando intimidisce una segretaria per far avere rimborsi in nero ai giocatori. Ma chi è Ferguson lo raccontano al meglio le 21 biografie uscite dal 1985 ad oggi, molte di suo pugno. In “Managing My Life”, Alex ricorda che «all'esordio a 16 anni nel Queen's Park un bastardo di nome McKnight mi buttò a terra e mi diede un morso. L'allenatore si infuriò con me perché non l'avevo morso a mia volta». Nel 1974, al primo incarico da coach all'East Stirlingshire, il centravanti Bobby McCulley lo definì uno «spaventoso bastardo». All'Aberdeen, «Furious Fergie» pare che abbia multato John Hewitt soltanto per averlo sorpassato in auto. A Beckham, cui lo unisce un rapporto di amore-odio, tirò una scarpa in testa dopo un ko 2-0 contro l'Arsenal: «Sono convinto che mi volesse uccidere», ha detto David. Storico il soprannome «asciugacapelli» datogli da Hughes: «Ferguson prendeva un giocatore e gli strillava talmente forte in faccia, da asciugargli i capelli bagnati». Rooney ne saprà qualcosa? Ma perché sir Alex lascia? Forse per l'età, forse perché lo fa da vincente, forse per l'intervento all'anca che lo terrà fuorigioco per  mesi. Ma la questione è: come ha fatto a resistere così a lungo? Secondo Giggs «perché è più fresco di colleghi che hanno la metà dei suoi anni», per Scholes perché «è un animale che percepisce le sensazioni dei suoi giocatori». Intanto, lo scozzese Alex, oggi ha rubato le copertine dei tabloid perfino alla Regina. Thank you, sir Alex.  

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