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La Merkel saltella sulle rovine greche e annienta il sogno di mezza Europa

La legge dello spread non perdona: i tedeschi travolgono gli ellenici 4-2

Eliana Giusto
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  Pure la volontà di potenza, per un attimo, ha tremato. I dominatori del continente piegano la tigna greca con tre sassate e un'inzuccata dopo una partita compresa nel recinto del brutto con sconfinamenti nell'orrido, cinque minuti di goduria mondiale (o almeno europea) e tremarella teutonica, e il resto di mattanza a cielo aperto. Va bene che ci vogliono testa e cuore, quando il fato ha già parlato chiaro consegnandoti una manica di sgarrupati da prendere a sberle.   Al match che ha sfinito un continente per giorni con pigri palleggi tra aree semantiche dell'economia e del calcio la Germania si presenta con gli scarponi chiodati, che sono in effetti pesanti ma perfetti per menare. Angela Merkel si trascina nello spazio vitale di Danzica intabarrata nella stessa giacca verde Ddr sfoggiata poche ore prime a Roma chez Mario Monti, e si accoccola a fianco di Michel Platini, tanto per ribadire che l'asse franco-tedesco non è finito con Sarko. Il colpo d'occhio iniziale restituisce un bandierone crucco 600 metri per 300 nel momento in cui i greci stiracchiano la loro austera bandierina proporzionata al Pil. Che fossero l'agnello sacrificale si era intuito nel pomeriggio di ieri, mentre era ancora forte l'eco delle frasi di Joachim Löw, il ct tedesco che parlava di «killer instinct» necessario per avere la meglio sui rivali. Alle 14.12 di ieri pomeriggio il nuovo primo ministro greco Antonis Samaras veniva ricoverato d'urgenza per un distacco della retina. Alle 15.35 il nuovo ministro delle Finanze Vasilios Rapanos finiva in ospedale per un malore dovuto a sovraffaticamento. Se ce la fa, lunedì comincerà il lavoro vero. Meglio affidarsi al racconto di una Nike che apre gli occhi 300 secondi, poi si riaddormenta o si trasferisce a Berlino. Perché altrimenti bisognerebbe star qui a commentare l'imbarazzo plateale di una squadraccia arroccata - e male - in difesa, presa a pallate con la sistematica e placida violenza di un cingolato; o le scelte preoccupanti di un Löw che tiene fuori i migliori costringendo un difensore a piegare - si fa per dire - la resistenza di un Sifakis obiettivamente non presentabile. O il saltino della Merkel che incassa la testa da tartaruga tra le spalle e applaude con le manine in alto, in una scena agghiacciante. Ci vuole insomma un contropiede regalato dai tedeschi a regalare a Samaras (quello sano) il gusto di una vendetta spinta da mezzo mondo e dalla dormita di Boateng, fratello di. Cinque minuti, meno del rally di Borsa dopo le elezioni, e Khedira sfodera un tiro alla Ibra e spara sotto la traversa a riaggiustare le cose che il destino aveva scandito. Ancora saltello della Frau in verde. Poi basta, segna ancora Klose mentre Sifakis era già ad Atene e Angela si mette la mano sul cuore. Siamo, con 70 minuti di ritardo, al torello, all'irrisione, cui sempre Samaras cerca di porre rimedio abbattendo tedeschi in giro per il campo. Il 4-1 è un tiro rabbioso e devastante di Reus. Il penalty greco del 4 a 2 serve solo a intasare di giochi di parole sul rigore e la Grecia, ma resta il fatto che se vinciamo domani, giovedì ci toccano questi.  In fondo, quando il destino rispetta i patti manca qualcosa: la Germania-Grecia più bella resta quella dei Monty Phyton, con l'undici ellenico che vince uno a zero con gol di Socrate su invenzione di Archimede, malgrado le proteste di Hegel,  incazzatissimo con l'arbitro Confucio (i guardalinee erano Sant'Agostino e San Tommaso) perché la realtà è solo un'aggiunta a priori dell'etica, e dunque la rete non esiste. Capolavoro. Oggi, bisogna accontentarsi di questa Europa senza sorprese, con la vittima che sogna cinque minuti e poi viene accoppata. di Martino Cervo  

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