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Sanremo 2025 da record ma il Pd contesta l'evento: "Non c'è coraggio"

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Pietro Senaldi
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Più Sanremo va su negli ascolti, anche la seconda serata di Carlo Conti ha battuto per distacco il record di Amadues 2024, più la sinistra va giù di morale. Non ci vogliono credere, nel Pd, che un Sanremo depoliticizzato piaccia più dei loro frullatoni ideologici. Sono spiazzati dal fatto che si possa avere successo anche se al posto delle ammucchiate di Rosa Chemical si canta l’amore per la mamma di Simone Cristicchi. Sono imbarazzati da Fedez, che si presenta inversione depresso-intimista anziché nei panni del predicatore anti-Salvini. Sono abbattuti dall’inno alla vita del Papa, di Jovanotti e di Bianca Balti, che mette in soffitta il nichilismo blasfemo che fu di Achille Lauro e le ipocrisie di Chiara Ferragni e Rula Jebreal, femministe in (torna)conto proprio. Ammutoliti dal fatto che, con classe, si possano fare battute su un omosessuale - Nino Frassica l’ha fatto con Cristiano Malgioglio - e questo se la rida anziché chiamare il telefono rosso.

NUMERI ALLE STELLE
I numeri parlano chiaro: ieri undici milioni e 700mila spettatori di media (share 64,5%), un milione e mezzo di persone e oltre quattro punti di ascolto in più della seconda serata dell’anno scorso, dopo che martedì il raffronto con l’ultimo Amadeus era finito dodici milioni e 200mila a dieci milioni e 500omila. Sanremo tira come non mai. Piace, agli italiani ma non a quelli troppo progressisti. Come in ogni Festival che si rispetti però, anche in questo è arrivata la nota stonata.

 


La stecca è di Matteo Orfini, responsabile dem in Commissione Cultura. All’onorevole mancano i pistolotti degli ospiti ammaestrati che portavano acqua alla sua parrocchia. «Edizione fiacca, senza scelte coraggiose. Riportare al centro le canzoni va bene, ma senza monologhi e brani di un certo tipo, senza un rap colto, la manifestazione risulta scarica», si lamenta sconsolato. Nostalgia, nostalgia canaglia, di un comizio, di un compagno, di un assist, intonerebbe Al Bano; nostalgia di quando andavi all’Ariston e pareva di essere al Festival dell’Unità.

Eh già, per sapere chi vincerà Sanremo quest’anno toccherà aspettare, come sempre, la notte di sabato; in compenso però sappiamo già chi ha perso. Lo sconfitto non è Amadeus, pur battuto negli ascolti, che non si sa quanto sinceramente, ma comunque cavallerescamente, fa i complimenti a Carlo Conti: «Stima, affetto e vicinanza al collega, sta facendo un grande Festival». Lo sconfitto è il Pd, che dopo le elezioni perde pure Sanremo e per questo, non troppo scherzosamente, butta lì l’idea di una riforma «costituzionale» della manifestazione.

«Separiamo conduzione da direzione artistica», suggerisce Orfini. Non potendo gestirlo in monopolio, propone la lottizzazione: a voi il presentatore, a noi la scelta di cantanti e ospiti. E se lo dice lui, che è stato allevato da D’Alema, lanciato da Bersani, cooptato da Renzi, associato da Martina, affiliato da Cuperlo, riciclato da Bonaccini, ricandidato da Letta e ora è riuscito a farsi arruolare da Schlein, unico esempio di dem che cade sempre in piedi e non paga mai dazio in un partito di serpi, c’è da iniziare a preoccuparsi.

L’uomo con più padrini politici che voti si fa interprete di un lutto collettivo, che ripropone la consueta manfrina dem. Quando la sinistra perde nelle urne, significa che gli elettori sono fessi. Ora che il suo modo peloso e ruffiano di mischiare politica e spettacolo ha ricevuto il cartellino rosso al Festival, gli incollati a Rai Uno diventano poveretti che capiscono poco di musica e ancora meno di quel che serve per fare televisione. E come si va avanti adesso, che perfino Elodie fa una mezza retromarcia e, dopo aver detto che piuttosto che votare Meloni si taglierebbe una mano, sdrammatizza: «Ne dico, e meno male, mi diverto»? E perfino Giorgia, quella di «io mi chiamo come te ma non rompo i c...», non infierisce: «Un bacio alla Meloni?» chiede il solito provocatore della sala stampa, «Meglio mandarlo a tutte le donne che lavorano». Ma proprio tutte... I giornalisti sinistri fingono di non capire e applaudono lo stesso.

SOTTO ASSEDIO
Certo che la tv, sarà pure un mezzo in declino e che i giovani guardano sempre meno, ma resta pur sempre una droga: più ne hai e più ne vorresti. Non bastano Sigfrido Ranucci, Fabio Fazio, Corrado Augias... Bisogna fare il pieno, deve piegarsi anche Conti, se vuole mantenere la doppia veste di conduttore e direttore artistico, e chi se ne importa se gli ascolti lo premiano. Già, l’audience: se questa edizione fosse andata sotto la precedente, ed era l’opzione su cui alla vigilia tutti avrebbero scommesso, avrebbero crocifisso Carlo “Faccetta Nera”, gli avrebbero dato del meloniano, avrebbero ricordato che, negli anni Ottanta, con i compari Panariello e Pieraccioni, girava i teatri con uno spettacolo dal profetico titolo “Fratelli d’Italia”. Siccome sugli ascolti è inattaccabile, virano e sindacano il contenuto, le canzoni. Non capiscono, i dem alla Orfini, che non è un Festival scarico ma un Festival che, come i precedenti, è in sintonia con i tempi, che non sono più i loro. Sempre citando Al Bano, “Felicità, l’acqua del fiume che passa e che va...”.

 

 

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