Squid Game, tanta paura e un finale apertissimo: ecco la seconda stagione
Di una cosa si può essere certi. Squid Game 2 ha certamente monopolizzato il Santo Stefano appena trascorso di moltissimi italiani. Una buona parte dei tantissimi fan (ben 111 milioni in tutto il mondo) della serie coreana che è ad oggi il prodotto Netflix più visto di sempre, non ha infatti certamente resistito, complice la giornata fredda e festiva, dall’imbarcarsi in una maratona lunga poco più di sette ore, tanto dura in totale la seconda stagione di Squid Game, che svolge i suoi intrecci malefici, tra giochi di psiche e pistole, nell’arco di sette episodi.
Si può dire dunque che la stagione di mezzo della serie coreana - di cui si sa che è già pronta anche la terza a conclusione della trilogia- giunga in qualche modo con un obiettivo: approfondire ancor meglio lo spirito della serie-gioco più disturbante e distopico che si potesse immaginare. Con questa cattivissima e antinatalizia coscienza, i telespettatori della piattaforma Usa, appassionati vecchi e nuovi del “gioco del calamaro”, si approcciano alla misteriosa e spesso incomprensibile quanto avvincente realtà dell’isola coreana dove il gioco, come è chiaro ed evidente, è destinato a ricominciare.
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A differenza del capitolo d’esordio, stavolta alla cinica, folle e crudele natura infantile dello Squid Game reso più cruento da mutilazioni, sangue e snervanti roulette russe, si aggiunge una critica sociale e, in un certo senso, una morale che incombe in maniera sicuramente più decisa sul grande, drammatico teatro che il vincitore della prima stagione, il giocatore 456, Seong Gi-hun si trova necessariamente a calcare di nuovo. Unico testimone della tragedia già consumatasi, travestita appunto da gioco, l’uomo stavolta si autoimpone una missione: far saltare il banco dall’interno, ovvero scoprire chi sono i misteriosi organizzatori di quella carneficina trasformata in gioco.
Il creatore e regista della serie, Hwang Dong-hyuk forse entrato un po’ anch’egli nella parte del reclutatore, incontrando i giornalistici ha scherzato un po’ su: «Via via che i personaggi morivano ero contento di salutare gli attori che li interpretavano, dicendo loro: domani non ci rivedremo. È stato difficile gestire così tante persone sul set». Immutato il contesto sociale in cui il reclutatore sceglie i giocatori inconsapevolmente votati alla morte: per lo più le stazioni della metropolitana con soggetti talmente privi di tutto da preferire un gratta e vinci a un pezzo di pane. Solo che in questa seconda stagione l’età media del cast si è abbassata.
In questo particolare la traccia di una critica sociale più profonda da parte del regista che è anche autore e co-sceneggiatore. «Con le stagioni due e tre, ho avuto più tempo per più personaggi. Questa volta abbiamo molti attori più giovani. Quando stavo creando la prima stagione, infatti - ha detto il regista - avevo pensato che fosse molto difficile essere indebitati fino a soli 20 o 30 anni d’età. Per cui inizialmente avevo ritenuto che i personaggi dovessero essere almeno di mezza età per aver bisogno di soldi al punto di arrivare a unirsi allo Squid Game. Il mondo, però, nel frattempo è cambiato. Ora sento che ci sono lavori meno decenti per i giovani che hanno capito come lavorare sodo non li faccia spesso nemmeno arrivare ad appartenere alla classe media. Così anche loro vogliono vincere il jackpot, ecco perché investono in criptovaluta. In Corea, ci sono molti giovani ventenni o trentenni che si rivolgono al gioco d’azzardo online. Per cui ho voluto mostrare com’è davvero la società oggi».
Interessante, dunque, andare a indagare come, nelle 7 puntate di questa stagione di mezzo, prima ancora che cercare un epilogo, si intreccino la finzione e una realtà di fondo che è molto più reale di quanto si possa immaginare. Sempre notevole e appropriato il sottofondo musicale che non manca di proporre anche il Nessun dorma dalla Turandot di Puccini e addirittura Time to say goodbye con la voce del maestro Andrea Bocelli. Pezzi di Italia vera nel gioco (per fortuna finto) dei calamari in attesa di giudizio.
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