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Andrea Roncato ad alzo zero: "C'è una differenza tra essere comici ed essere ridicoli"

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Daniele Priori
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Andrea Roncato non è mai diventato padre ma, grazie alla magia dell’amore, è diventato invece nonno. Incontriamo l’attore 77enne a Pinarella di Cervia, al termine di uno spettacolo che ha fatto ridere e emozionare il pubblico del Full Moon, noto locale della riviera romagnola. Non troppo lontano da qui c’è San Lazzaro di Savena, il paese d’origine con il quale Andrea non ha mai perso i contatti nonostante una carriera da attore che l’ha portato un po’ ovunque: più di 60 film, oltre 250 puntate di fiction. Nel 2025 Roncato avrà ben due film in uscita al cinema e due produzioni tv, tra cui la serie Rai sulla storia di Giovannino Guareschi, l’autore di Don Camillo, una delle grandi passioni di Andrea.

Cosa ha rappresentato e rappresenta la tua terra nel suo percorso artistico?
«Sono nato al confine tra l’Emilia e la Romagna, quindi un po’ mi sento anche romagnolo. In Romagna ho passato le estati dell’infanzia, quando si andava in vacanza a Rimini o Riccione. Crescendo è capitato di comprare moto in inverno col solo pensiero di andare a fare il figo d’estate in viale Ceccarini a Riccione. Da adulti, poi, è capitato spesso con Jerry Calà e Abatantuono, di affittare una villa insieme da dove poi ci spostavamo per andare a fare ognuno le proprie serate. Quando tornavamo a casa ci facevamo i gavettoni».

Diventando più maturo sembra abbia un po’ rinunciato ai ruoli comici. È così?
«No. È che secondo me, anzitutto, un attore deve saper fare un po’ di tutto. E poi si sa che i comici sono i migliori nelle parti drammatiche (Sorride). Anche perché per far ridere bisogna sapere anche come far piangere il pubblico. Poi c’è sicuramente un passaggio, l’adattamento all’età. Perché se a 70 anni mi mettessi a fare il playboy sulle spiagge come facevo a 30, risulterei patetico. Il comico del resto tende un po’ sempre a interpretare se stesso. È capitato anche a me e Andrea. Abbiamo fatto una dozzina di film assieme poi abbiamo smesso perché il rischio di fare sempre lo stesso film è sempre dietro l’angolo. Per cui io ho scelto di sperimentare ruoli più seri nei quali fare l’attore, interpretare personaggi diversi da me stesso».

 

 

 

Qual è il comico di oggi che ama di più?
«Sicuramente Zalone è quello che mi fa più ridere. Però anche lui interpreta se stesso. Oggi anche la comicità è cambiata...».

In che senso?
«Beh, io vengo dalla scuola di Cochi e Renato, Rik e Gian, Zuzzurro e Gaspare, fior di comici che facevano gag giocate anche sui tempi, sulle pause, sui testi. Adesso purtroppo vedo che spesso la comicità è basata solo sul vestirsi strano, sul mettersi una capigliatura con la cresta colorata o sul parlare in modo forsennato se non addirittura da demente. C’è differenza tra essere comici e essere ridicoli...».

C’è stato un momento preciso in cui il suo sodale Gigi Sammarchi le ha detto: scendo dal palco, mi fermo qui?
«No, non c’è stato. Lui è andato a vivere in Spagna a Marbella ma tutt’ora quando porto in scena Gigi e Andrea, lo chiamo, prende un aereo e viene perché nessuno può far Gigi meglio di lui!».

Uno dei suoi personaggi è sicuramente rimasto nella storia. Quel Loris Batacchi talmente donnaiolo che è riuscito ad avere una relazione persino con Mariangela Fantozzi...
«Su quel personaggio, alcuni giornalisti che hanno parlato di figura sessista non ci hanno capito nulla. Quella era la parodia di un uomo non l’esaltazione. Di recente l’ho ripreso in Sotto il sole di Riccione (2019) e si scopre che in realtà viveva con dolore di un amore perduto proprio per quel suo modo di vivere. Così abbiamo un po’ umanizzato anche quella figura...».

Un risultato possibile senza il cinismo della penna di Paolo Villaggio...
«Paolo Villaggio era genio e sregolatezza. Non faceva mai una cosa normale. Con lui ho fatto anche il film Pompieri e programmi televisivi come Grand Hotel in cui era ospite fisso oltre a diverse stagioni di Carabinieri. Lui era geniale nei suoi racconti, nel suo saper stravolgere la realtà, nei personaggi che erano la caricatura dell’italiano medio. Se doveva mangiare andava al ristorante, ordinava dieci cose, poi ne mangiava una e rompeva le palle al cameriere chiedendo 31 fusilli. Se doveva andare in un posto, fermava la prima macchina per strada, si faceva riconoscere e chiedeva di essere accompagnato alla stazione. Oppure ti invitava all’aperitivo: dai, chiama anche i tuoi amici. Tutti dentro! Lui stappava una bottiglia dello champagne più costoso, poi andava via e te lo lasciava da pagare.
Non lo faceva, però, perché era tirchio ma perché si divertiva a prenderti in giro. Era tutt’altro che tirchio. Gli capitava di buttare via i soldi per prendere un aereo privato da Roma a Viterbo».

Lei ha lavorato sulle reti Fininvest proprio agli esordi. Che ricordo ha del Berlusconi imprenditore?
«Berlusconi era uno che seguiva molto le trasmissioni anzitutto per cercare di fare concorrenza alla Rai. Investiva tantissimi soldi. Con Grand Hotel, per esempio, pure se eravamo agli inizi, portò subito ospiti come Alain Delon, Tony Curtis, Charles Aznavour che suonava il pianoforte. Io che ero il direttore del Grand Hotel, di fatto ero il conduttore e grazie a questo ruolo mi sono trovato a duettare con ospiti come James Brown. Fu un’idea molto bella. Forse il programma più innovativo che ho visto in tv».

Con questi grandi ospiti riusciva a scambiare anche rapporti umani?
«I personaggi più sono grandi, meno hai problemi a rapportarti con loro. Mi è capitato di reincontrare Robert De Niro e prenderci un caffè assieme. Mentre, magari, uno di quelli che va in tv oggi neanche ti saluta».

Il suo Don Tonino è stato precursore della serialità in Italia. Lei l’ha definito il predecessore di Don Matteo...
«E l’erede di Padre Brown. Anzi, un po’ don Camillo, un po’ Padre Brown».

 

 

 

Lei ha detto: a casa mia è sempre Natale. Non tolgo mai il presepe. Perché?
«Amo molto il Natale perché rappresenta la parte più bella della nostra vita che è l’infanzia. Viviamo sempre cercando quell’atmosfera, quei rumori, e quando facciamo il presepe torniamo un po’ bambini. Mia moglie Nicole per fortuna è appassionata come me».

Stanno tornando anche i cinepanettoni. Le piacerebbe interpretarne di nuovo uno?
«Io ho partecipato agli ultimi che hanno avuto vero successo: Vacanze di Natale 1990 e ‘91. Ero molto gasato perché c’erano Ornella Muti e Alberto Sordi nel cast. A me era bastato leggere il mio nome a fianco a quello di Sordi sul manifesto per sentirmi come se avessi vinto l’Oscar».

Si è sposato due volte ma non ha mai avuto figli.
«Ho avuto due matrimoni e il secondo sta andando molto bene con Nicole che ho conosciuto grazie alla figlia, l’attrice Giulia Elettra Gorietti, girando un film nel 2012 in cui lei faceva proprio la mia figliastra! Nelle pause, quando telefonava alla mamma e le diceva che era con me, Nicole, pensando alla mia fama da playboy, le diceva di fare molta attenzione. Poi ha capito che invece sono una brava persona. A lei mi accomuna l’amore per gli animali».

Le pesa non essere diventato padre?
«Mi accorgo di aver fatto una cazzata ad essermi privato della cosa più importante che può esserci per un uomo. Però, sempre grazie a Giulia, ho avuto invece la gioia di avere una nipotina, sua figlia Violante che mi chiama nonno. Il giorno della Festa dei Nonni mi ha chiesto: nonno, che cos’è l’amore? Io le ho risposto: l’amore è quel sorriso che farai quando sarai grande e ti capiterà di pensare a me».

 

 

 

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