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Edoardo Vianello e i suoi "Watussi" resistono alla cancel culture: la canzone non si cambia

Andrea Tempestini
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La vera avanguardia è Edoardo Vianello, dall’alto dei suoi meravigliosi 86 anni. Perché in un mondo in cui parte dell’intellighenzia dà piena legittimità all’idea di cambiare la parola «negri» dai suoi Watussi lui risponde con un garbato “vaffa”: «Sarei disposto a farlo se cominciassero a demolire il Colosseo». Vianello - romano e pilastro della Scuola romana del cantautorato nostrano - ovviamente non ha nulla contro il Colosseo, semplicemente dal 1963 “I Watussi” sono gli «altissimi negri», sono quelli del continente nero / alle falde del Kilimangiaro ed eccetera eccetera. Quante volte la abbiamo cantata? La parola «negri» nel testo ricorre sette volte e altrettante volte, dunque, dovrebbe cancellarla. Che senso avrebbe? Nessuno, ovviamente, come non ne avrebbe distruggere il Colosseo.

Non è la prima volta in cui la furia ideologica degli ossessionati da pelosi sensi di colpa si accanisce contro “I Watussi”. In quest’ultimo caso l’eccesso wokista “de noantri” si è manifestato a Un giorno da pecora su Rai Radio 1, Vianello ospite di Giorgio Lauro e Marisa Laurito (eccezionalmente al posto di Geppi Cucciari).Il testo dei Watussi si può ancora cantare? «Si deve ancora cantare, fa parte della storia della canzone». «La richiesta di cambiare il testo? Mi pare forte: io la canto come l’originale». Ossia? «Ci sta un popolo di negri che ha inventato tanti balli, non c’è niente di offensivo». Nemmeno la parola negro? «Ai miei tempi era normale, non vedo perché debba adeguarmi a una sciocca tradizione». L’avanguardista Vianello non arretra di un millimetro, con buona pace delle mascelle cadenti e dei falsi indignati (o si è ottusi, o è impossibile indignarsi davvero per un «negri» con licenza artistica scritto nel ’63). L’essenza della furia ideologica sta nella domanda: non «oggi la scriverebbe come allora?», ma «cambierebbe qualche parola?». Una sorta di processo a un passato non processabile poiché al di sopra di ogni sospetto: damnatio memoriae per i Watussi, da abbattere come le statue di Colombo. A rigor di logica anche il titolo, per lor signori, andrebbe rivisto: “I Watussi” o “Watuss*”, senza articolo ma con inclusiva schwa? Ci rendiamo conto che si sta flirtando col delirio?

Ora, per intendersi ancor meglio, val la pena ricordare l’esordio del Vianello cantante (in precedenza era solo musicista, fisarmonica e chitarra): era il 1956 (sette anni prima dei Watussi) e al Teatro Olimpico di Roma, in uno spettacolo organizzato dall’Istituto di ragioneria Leonardo Da Vinci, si presentò sul palco con un quartetto di finiti “negretti”, bianchi con la pelle pitturata di nero. Facevano il verso al Golden Gate Quartet, il leggendario gruppo gospel fondato nel 1937 in Virginia. Se Vianello avesse proposto oggi quella scena, con discreta approssimazione, sarebbe stato processato e condannato per direttissima in tre quarti degli studi televisivi e anche in qualche solerte tribunale. Erano altri tempi, insomma.

Per mettere definitivamente a fuoco la schizofrenia ipocrita dei tempi che invece corrono ci permettiamo una digressione. Al prossimo Sanremo ci sarà Tony Effe, uno dei molti rapper previsti dal pacchetto (e i testi rap per loro natura sono spesso violenti, misogini). Necessaria premessa: qui non ci indigniamo per Tony Effe all’Ariston (e nemmeno perla sua presenza al Concertone di Capodanno, polemica della vigilia). Riportiamo - scusandoci con il lettore per le volgarità- quattro delle sue strofe più recenti: Ti sputo in faccia solo per condire il sesso / Ti chiamo puttana solo perché me l’hai chiesto / Ti sbavo il trucco, che senza stai pure meglio / Ti piace solamente quando divento violento (il brano è Dopo le 4, pubblicato a marzo 2024). Ovviamente c’è chi eccepisce - per queste strofe e parecchie altre - sulla presenza di Tony Effe alla kermesse. Qui ci limitiamo a una considerazione: vi rendete conto che volete cancellare gli «altissimi negri», quelli del ‘63? Vi rendete conto di quanto siete ipocriti? Probabilmente scordate, o non avete mai saputo, che quando le donne stringiamo sul cuore / Noi con le stelle parliamo d’amore / Siamo i Watussi. Ora e per sempre gli «altissimi negri». 

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