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E adesso fate Checco Zalone ministro (con quello che c'è in giro...)

Tolo Tolo contro il razzismo

Francesco Specchia
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Checco for president. Se oramai, come dicono in molti, è diventato un intellettuale inconsapevole (e assai ricco, dato il tripudio del box office per il suo film), adesso Checco Zalone potrebbe tranquillamente adire, a sua insaputa, allo scranno di ministro degli Esteri, premier, o Presidente della Commissione Europea. D'altronde c'è di peggio, in giro. D'altronde, se, in Tolo Tolo, sulle suddette poltrone, è riuscito ad inchiodare il proprio coccige un personaggio ectoplasmatico come quello di  Gramegna “uno che assomiglia a Conte ha il curriculum di Di Maio e parla come Salvini” a detta di Zalone stesso; be', allora, la morale è chiara. Nell'Italia dell'incompetenza stratificata, delle aliquote vigliacche e dei sogni infranti, Zalone può diventare lo statista che non abbiamo mai avuto. Checco Zalone mi continua a spiazzare da un quarto di secolo. Sin da quando, sulle frequenze della pugliese TeleNorba, faceva l'avanzo di balera, il neomelodico dalla fedina a macchie o l'imitazione dell'allora governatore Nichi Vendola con la zeppola (che tra l'altro, disoccupato di lusso dal lessico impossibile, fa un cameo nel film). Il suo regista-alter ego Gennaro Nunziante l'aveva mollato per inopinate “scelte artistiche”; sicché, dopo pellicole che avevano massacrato il politicamente corretto sui gay, sul terrorismo e sulla retorica del posto fisso, tutti pensavamo ad un'involuzione del suo stile; ad uno Zalone più -diciamo- “di pancia” e meno “di testa”. Pensavamo al trivio plautino, allo schiocco virtuoso di parolacce, a temi più terragni, insomma. Invece è avvenuto il contrario. Checco si è buttato nelle braccia di Paolo Virzì, che è un po' come quando Totò lasciò la macchina da soldi di Mario Mattoli per affidarsi alla risata architettonica di Mario Monicelli; e, in quel momento, gli si è aperto un altro mondo. Tolo Tolo è, appunto, Monicelli e Totò shakerati al Danny Kaye di Sogni proibiti, a Pio e Amedeo, a Walter Veltroni l'africano, con una spruzzatina finale di cartoon Disney con Checco che, issato su una mongolfiera alla Mary Poppins canticchiante ai bimbi africani “Mo' me ne vado ma poi ritorno con 100 chili di permessi di soggiorno”; che non si capisce bene se sia impegno civile o formidabile presa per il culo però è molto divertente. Il nuovo Zalone, tra l'altro dice pochissime parolacce. Ne ho contata una, un “mavaffanculo” fulminante quando Alexander, il documentarista francese sussurra contrito, come se si trovasse in un meeting estivo a Capalbio: “Nella mia vita ho conosciuto molti poveri, ma i più poveri in realtà erano quelli che avevano i soldi…”. Lo Zalone di Tolo Tolo, anche politicamente, è molto migliorato: abbandonato il qualunquismo ora ha pensieri strategici. E' più paraculo. E' di sinistra quando, immagina neri vestiti da Schützen tirolesi e da gondolieri veneziani; o quando, durante la traversata del deserto, mostra scatti di ducismo e vorrebbe mandare tutti gl'immigrati ad accogliere “pomodori nel foggiano” (la famosa “accoglienza”) e un medico migrante gli spiega: “Hai un attacco di fascismo. Tutti abbiamo un pò di fascismo dentro, col sole e lo stress viene fuori”. “Come la Candida..” risponde Checco. Ma Zalone è, nel contempo, di destra quando trasforma l'amico africano Oumar aspirante regista neorealista in un traditore che lo spinge nelle carceri libiche; o quando rivela l'opportunismo del giornalista francese; o quando sogna l'attività commerciale perfetta dove i lavoratori non hanno ferie né maternità; o quando fa cantare, berlusconianamente, ad un intero pullman nel cuore del Kenya, “la gnocca salva l'Africa”. Zalone, anche dal punto di vista del marketing è un passo avanti. Ti aspetti un trailer del film con le scene migliori e lui manda in onda un videoclip con una canzone, Immigrato, che stende i luoghi comuni dei benpensanti siano essi liberal che conservatori. Ti attendi la marketta, da ospite al programma di Fiorello; ma lui se ne fotte della pellicola che invade le sale, e pubblicizza il progetto di quella successiva. In più, se ci pensa, Checco ha dato un senso artistico alle aspirazioni lavorative dell'italiano medio: gira un film soltanto durante le feste, incassa come una reunion dei Rolling Stones e passa il resto dell'anno ad organizzare il film successivo. Massimo risultato col minimo sforzo. L'incasso di Tolo Tolo è stato, nel primo giorno di programmazione di 8.680.232 euro, con oltre 1.175.000 presenze, e probabilmente tornerà ad essere il titolo che solleverà la media quantitativa del cinema italiano. Se applicassimo il suo modello economico al bilancio dello Stato potrebbe spiazzarci un'altra volta. Checco for president…

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