Addio a Stan Lee, l'Omero del fumetto
"Se non fosse per il suo tallone, oggi Achille sarebbe un perfetto sconosciuto”. Quando Stanley Martin Lieber in arte Stan Lee, morto alla veneranda età di 95 anni, pronunciò questa frase, io avevo 5 anni. E –per me come per milioni di coetanei tra i 70 e gli 80, gli anni di piombo e quelli di fango- la lettura infantile dei supereroi dell'Odissea si era già sovrapposta e confusa, tra epos greco e schizzi di ragnatela sui tetti di Manhattan, ai primi cento numeri dell'Uomo Ragno. Stan Lee aveva rielaborato, per noi pischelli allattati a tv in bianco e nero e fumetti pubblicati in Italia dall'Editoriale Corno, il concetto omerico dell'invincibilità. “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”, spiegava lo zio Ben Parker al nipote Peter il quale, appena punto da un ragno radioattivo, stava acquisendo la consapevolezza d'essere un superuomo ma dall'indole del teenager sfigato alla perenne ricerca di certezze. E il suddetto aforisma ha costruito la fortuna di Spiderman, il capolavoro di Lee; e della Marvel Comics, la casa editrice di fumetti più nota del pianeta che dal 1961 venne rifondata dalla defunta Timely Comics, grazie a questo baffuto creativo ebreo ex fattorino che sbandierava il sogno di farla diventare la “casa delle idee”, il formidabile regno di Oz del XX° secolo. E la cosa gli riuscì. Stan Lee sta alla narrativa per immagini come Pulitzer all'editoria, Fleming alla penicillina e Orson Welles alla storia del cinema: era un immaginifico creatore di mondi e, al contempo, un roccioso capitano d'industria. Nato a New York da genitori immigrati, Stan – chiamato “il sorridente” - fu il papà di Spider-Man, Hulk, Thor, Iron Man, i Fantastici 4, Pantera Nera, Avengers e X-Men e il padrino-padrone di ogni supereroe degli ultimi cinquant'anni; e soltanto questa sua abilità nel trasformare reietti, psicotici e perseguitati in eroi popolari ispirati ai personaggi di Balzac, Dumas, o della Caballah ebraica basterebbe a fargli guadagnare un posto d'onore nella storia della narrativa -non solo a fumetti-per l'eternità. Quando, per dire, oggi spiego ai miei figli appena usciti dalla seduta ipnotica di un film Marvel, che Daredevil è signore mascherato cieco che salta sui grattacieli senza bisogno di un cane guida, o che Hulk è il nipotino del Dottor Jeckill e Mr.Hyde, o che gli X-Men vengono trattati dai bravi cittadini americani come Orban tratta i migranti clandestini; be', lì realizzo che la diversità e la tolleranza sono il filo sottile col quale Lee ha tessuto le milionate di tavole che hanno permeato il sogno americano. Eppure Stan Lee è stato anche molto più di un cantastorie. Fu pure un eccezionale editore, manager, produttore: una figura centrale dell'industria dei comics. Col disegnatore Jack Kirby, già coautore di Capitan America, ebreo anch'egli, diede al stura alla fantasia prima creando i Fantastici 4. Poi, sull'onda di quel successo, l'anno seguente Lee propose Spider-Man; dopodiché arrivò la consacrazione mondiale, in concorrenza con i colleghi delle Dc Comics, l'editrice di Superman e Batman dove i protagonisti erano tutti perfettini, inodori e insapori, senza macchia né paura. Eviterò, qui, per amor di epitaffio e rispetto del mito, di elencare le grane legali, i sospetti di plagio, i furti di idee e sceneggiatura di cui Lee fu a più riprese accusato dai suoi collaboratori (Kirby, addirittura, partorì a di lui immagine un personaggio Funky Flashman, indicato come un inarrivabile “ciarlatano perditempo”). Né citerò la morte della moglie Joan, dopo settant'anni di matrimonio, fatto che rientra nell sfera personale. Nè evocherò il suo brutto romanzo di fantascienza,The Alien Factor; o il suo impressionante narcisismo che lo spinse, in vecchiaia, ad apparire, come una sorta di Alfred Hitchcock, in tutti i film targati Marvel, in cameo che i fan accaniti si divertono tuttora ad individuare. Non serve indagare, di Stan Lee, il lato oscuro e illuminarlo con la torcia della verità: ogni artista vero e di successo ha diritto ai suoi segreti. Mi piace di più l'immagine che tra i suoi fan ci fosse, ad esempio, gente come Federico Fellini il quale, durante il suo viaggio negli Usa per la promozione di Giulietta degli spiriti, si recò da lui in visita pastorale nella sede della casa editrice, al 625 di Madison Avenue a New York. E se oggi la Marvel non è più solo una casa editrice ma un gruppo planetario (Marvel Entertainment) attivo in più settori dell'intrattenimento, acquisito dalla Disney nel 2009; e se il cinema blockbuster è rinato grazie al fumetto e se il fumetto stesso, grazie al cinema, s'è trasformato in oro al botteghino; be', lo si deve senz'altro allo zio Stan. Il quale, quando, all'apice del successo gli chiesero il segreto della sua immortalità anticipata, dichiarò, semplicemente; “Non credevo che l'Uomo Ragno sarebbe diventato l'icona mondiale che oggi è. Io speravo solo che il fumetto vendesse così da potermi tenere il lavoro”. Addio al mio Omero del fumetto, verso il paradiso dei tessiragnatele… di Francesco Specchia