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Il Little Tony segreto: i motori, la crisi, la malattia

Viveva per le auto, aveva una cura maniacale per il look. Nei momenti difficili ha fatto di tutto. Fino all'ultima battaglia, persa

Leonardo Iannacci
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Dietro le canzoni, le tournée, i dischi incisi e i cd che avrebbe voluto realizzare - senza aver avuto né il tempo né la benevolenza di case discografiche che, negli ultimi tempi gli hanno voltato le spalle dimenticando i dorati anni Sessanta nei quali era un re del rock «de noantri» - Little Tony, vero nome di Antonio Ciacci, scomparso l'altra sera dopo una feroce lotta contro il cancro all'età di 72 anni, celava una vita privata che non era fatta soltanto di rock'n'roll. Il suo cuore matto batteva anche per altre passioni ben più terrene: quella per l'alta velocità e le auto sportive, per gli incredibili e costosissimi abiti di scena che si faceva confezionare negli Stati Uniti ed erano diventati un must anche nella sua esistenza di tutti i giorni, e per la maniacale ricerca del look e del ciuffo sempre perfetto. Situazioni, queste ultime, che l'hanno portato negli ultimi tempi a scomparire dalla vista degli amici. Quasi nessuno, tra i colleghi, sapeva del suo stato fisico, della malattia che lo aveva sfigurato. Su Little Tony, un tempo così bello e amato dalle ragazze, vigeva una sorta di mistero. Negli ultimi anni si era goduto la vita da nonno degli adorati nipotini Mirko, Martina e Melissa, regali della figlia Cristiana che ieri ha detto: «Ha sofferto così tanto negli ultimi giorni che ho sperato arrivasse per lui la pace». L'ultima esibizione pubblica, qualche mese fa, a I migliori anni di Carlo Conti, lo aveva mostrato dimagrito e pallido. «Non voglio farmi più vedere in queste condizioni», aveva ripetuto nelle ultime settimane tra una puntura di morfina e l'altra. Alla fine, chi gli è stato vicino nella clinica romana, ha detto che era stanco persino delle cure. Pochi sanno, dicevamo, della sua passionaccia per le auto storiche: Little Tony aveva una collezione di modelli d'epoca da far paura. Nella sua bella villa vicino a Roma e nella sua seconda casa di San Marino (era nato sul Titano anche se aveva sangue toscano nelle vene), Tony possedeva alcuni dei gioielli più ricercati nel mondo dell'automobile d'antan. Un amore nato negli anni '60 quando le hit-parade e i soldi guadagnati con brani storici - da Cuore matto a La spada nel cuore, da Un uomo piange solo per amore a Riderà - avevano arricchito a tal punto il conto in banca di questo ragazzo estroverso e dal perenne ciuffo impomatato, da permettergli spese folli e investimenti consistenti nel mondo delle fuoriserie. «Quando avevo 20 anni ero già pazzo per le Ferrari e per le Lamborghini Miura. Le compravo, le rivendevo anche se avevo pochissimi soldi. Allora mi consideravano uno stravagante. Mio padre era disperato, mi voleva far ricoverare. Poi la carriera ingranò e mi sono potuto permettere, nel corso degli anni, tutte le auto che sognavo», raccontò una volta quando lo andammo a trovare nella sua abitazione romana. Una casa vintage dietro il cui cancello non c'erano fontane ma due auto americane anni '50.  Il vialetto portava il nome Elvis Presley Boulevard e conduceva in questa casa che portava, appesi alle pareti, non dischi d'oro ma reliquie automobilistiche e pezzi di Ferrari. La passionaccia per le auto non sono mai sopita neppure negli anni bui di Little Tony.  Quelli che hanno visto la sua carriera declinare. Per lui soltanto comparsata in trasmissioni nostalgiche, concerti all'estero per paisà, quindi un Sanremo sfortunato nel 2003 insieme all'amico-rivale Bobby Solo e il dramma dell'infarto che, nel 2006, quasi lo stroncò su un palco di Ottawa, in Canada. Taluni, negli ultimi tempi, lo ricordano anche ingaggiato in imbarazzanti feste di matrimonio in cambio di cachet non certo congrui al suo antico status di star. «L'importante è essere liberi dalle tenaglie delle case discografiche e cantare le canzoni di Elvis…», disse dopo essersi esibito al cospetto di un centinaio di persone, tra il taglio della torta nuziale e i balli finali, come fosse un artista di piano-bar ingaggiato a gettone. Raccontano che negli ultimi anni, consapevole che gli anni d'oro erano passati, si rifugiasse spesso in garage. Tra le Ferrari e le Lamborghini che non l'hanno mai tradito. Con un'unica eccezione: «Il grande rammarico della mia vita non è essere arrivato secondo nel Cantagiro del 1966 dietro a Morandi, io con Riderà che ha poi venduto un milione di copie e Gianni con un pezzo così così come Notte di Ferragosto», confessò con malinconia. «Ma aver venduto anni fa una Ferrari California a tre milioni di lire, una miseria, è una ferita ancora aperta: quel modello, oggi, vale un milione di euro. Maledizione!». 

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