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Il governo tassa le tv private per i cine-pacchi

Walter Veltroni

I ministri Passera e Ornaghi destinano il 3,5% dei ricavi delle emittenti al cinema italiano. La rabbia di Mentana

Giulio Bucchi
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di Francesco Borgonovo Possiamo anche provare a capirlo, il ministro dei Beni culturali Lorenzo Ornaghi. Non voleva passare alla storia come l'uomo che ha pensato di nominare Giovanna Melandri a capo del Maxxi, il museo romano. Che - a livello di competenze specifiche - è un po' come nominare Francesco Totti all'Accademia della Crusca. Il fatto è che Ornaghi ha escogitato un provvedimento se possibile ancora più terrificante. Dopo aver trascorso la quasi totalità del suo mandato a cercare di rendersi invisibile o comunque ininfluente, giusto poco prima che il governo Monti vada in pensione egli sforna il geniale colpo di coda, approfittando della collaborazione del suo esimio collega Corrado Passera. La fenomenale coppia ha partorito e inviato alle Camere uno schema del decreto che fissa le quote di programmazione e investimento per le produzioni cinematografiche italiane. Detta così, non si capisce un tubo. E forse i due, confidando nell'oscurità della sintassi, han pensato che la trovata passasse inosservata. In sostanza, il decreto di cui sopra stabilisce che la Rai debba destinare il «3,6% dei ricavi complessivi annui» a «produzione, finanziamento, pre-acquisto e acquisto di opere cinematografiche italiane». Mentre tutte le altre emittenti, cioè quelle private, dovranno destinare il «3,5% degli introiti netti». Significa che le televisioni commerciali sono obbligate a investire il 3,5% dei loro incassi nel finanziamento di film italiani. Trattasi, per chi non l'avesse capito, di una tassa, da cui i signori ministri pensano di ricavare la bellezza di duecento milioni di euro circa. Soldi che serviranno per il «consolidamento economico e finanziario delle imprese operanti nel settore, requisito fondamentale per assicurare un livello di produzione cinematografica che, oltre ad essere soddisfacente dal punto di vista economico, continui a preservare e raccontare l'identità culturale del nostro Paese». Niente meno. Sento già che la mia identità culturale si sta rafforzando... A parte la leggera sfumatura sovietica del provvedimento (perché mai lo Stato dovrebbe imporre alle emittenti private di sborsare soldi per il cinema italiano?) c'è un altro aspetto della vicenda da considerare. Ha almeno una vaga idea, il ministro Ornaghi, di come verranno cremati i suddetti duecento milioni di euro? Riesce a immaginare la mostruosa mole di schifezza che verrà prodotta con quei soldi? Film di Cristina Comencini prodotti dal marito di Cristina Comencini (Riccardo Tozzi di Cattleya) che saranno visti in sala solo dai parenti di Cristina Comencini - escluso il marito, ché lui lo vede gratis in anteprima - e poi saranno sbeffeggiati dai critici alla Mostra di Venezia (Angelo Pannofino ne fece un'esilarante parodia nel suo blog «Bollettino dall'Italia»). Film con Filippo Timi nel ruolo di una vittima della mafia, con Alba Rohrwacher nel ruolo di un'altra vittima della mafia e la mafia che si giustifica: «Ma li avete visti i film di Timi e della Rohrwacher? E vi lamentate pure che li perseguitiamo?». Lungometraggi tratti dai libri di Veltroni con Elio Germano nel ruolo di un giovane militante del Partito comunista in Sicilia che, diventato adulto, si trova costretto a votare Veltroni e gli viene la depressione; quindi lo ricoverano in una clinica dove c'è Filippo Timi nel ruolo di un brillante psichiatra (perseguitato dalla mafia) innamorato di Violante Placido (perseguitata da Veltroni). Un inferno. Non fanno una legge che obblighi i cittadini a recarsi al cinema per vedere i film italiani solo perché poi la spesa sanitaria delle Regioni aumenterebbe esponenzialmente. L'ideona di Passera e Ornaghi ha fatto imbufalire Enrico Mentana, che ha mandato una letterina a Dagospia: «L'intero settore della comunicazione, giornali, radio e tv, vive la peggior depressione di ricavi della sua storia», ha scritto. «Per tutti la percentuale della raccolta pubblicitaria viaggia col segno meno seguito da due cifre; molti attuano licenziamenti, trasferimenti obbligati, cassa integrazione, prepensionamenti, tagli dei collaboratori; testate illustri chiudono da un giorno all'altro nel silenzioso cordoglio generale. Senza fare i piangina ne sappiamo qualcosa anche noi de La7. L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è di prelievi forzosi: primum vivere, deinde cinematografari». Ha ragione. Tassare le televisioni significa soprattutto fare un torto al pubblico. Già c'è penuria di programmi innovativi, e adesso andiamo a togliere soldi alle emittenti per destinarli ai «produttori indipendenti» (sempre gli stessi, magari, da Domenico Procacci di Fandango in giù) per realizzare sempre gli stessi film, con gli stessi attori e le stesse trame ammuffite? Servono più soldi pubblici per l'intrattenimento? Beh, allora come mai la televisione pubblica appalta metà dei programmi a case di produzione esterne invece di produrseli in casa (sfruttando i suoi autori italiani, per dire...)? A quanto pare, però, l'importante è sovvenzionare il circo della nostra cinematografia, già abbondantemente dopata. Ornaghi può essere soddisfatto: gli italiani lo ricorderanno con gratitudine. Gli italiani che producono film, ovviamente. Gli altri un po' meno.    

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