Il ritorno di John De Leo: dopo il silenzio tanta voglia di far musica
L'ex leader dei Quintorigo, gruppo rivelazione a Sanremo '99 con la canzone Rospo, torna in tour con un nuovo album
di Leonardo Diana "Che dire, sono molto soddisfatto e spero lo sia anche il pubblico". Comincia così l'intervista a John De Leo, ex leader dei Quintorigo (premio Tenco al Festival di Sanremo del 1999 con la canzone Rospo) che, dopo un lungo periodo di assenza, è pronto a ritornare sulle scene con album e tour. Un nuovo album dopo un lungo periodo di silenzio: quali sono i progetti per il futuro di John De Leo? "Sì, finalmente torno con un nuovo album, sono stato un po' fuori dalla tempistica economica delle case discografiche ma sono uno che ama lavorare con calma e le interferenze della vita mi hanno rallentato molto ma ultimamente mi stavo impigrendo e questo non andava bene. Sono così soddisfatto di questo nuovo lavoro, spero lo sia anche il pubblico". Ripercorrendo la tua carriera, la parola chiave della tua musica è "sperimentazione". Negli ultimi anni ti sei concentrato sul jazz, come è stato l'approccio con questo genere? "Il jazz è una componente importante della mia musica, quello che amo suonare io è un jazz moderno che contempla altri generi, è un jazz evoluto che però non ha perso l'idea viva dell'improvvisazione, che è senza dubbio una delle caratteristiche principali di questo genere". Spesso parli di "videomusicazione dei testi": come racconti l'alchimia tra letteratura, musica e video arte? "Negli ultimi anni ho lavorato anche per il teatro e ho avuto modo di sperimentare il sodalizio tra diverse forme espressive come la musica e la letteratura. L'esperienza teatrale mi ha aiutato a raccontare qualcosa di unico". Nel 2005 hai lasciato i Quintorigo, con loro hai raggiunto il successo, a cominciare da Rospo. La canzone parlava di un principe che voleva tornare rospo, era un manifesto contro l'essere belli a tutti i costi? "Assolutamente si, era una canzone scritta appositamente per il Festivalone ma dietro a Rospo si nascondevano dubbi e paure, non volevamo essere fraintesi. Per noi, partecipare a Sanremo è stato l'ingresso all'arte popolare, volevamo starci dentro ma allo stesso tempo non volevamo correre il rischio di venire omologati, la realtà del Festival era ben diversa da quella dei centri sociali. Cantare a Sanremo è stata una sorta di battaglia sul campo, una battaglia per la sopravvivenza per presentare un prodotto capace di incontrare il punto di vista del mercato e quello della nostra musica. Oggi, purtroppo, sono i media che indicano cosa sia culturale e alle volte ciò che viene fuori non è quello che tutti vogliono sentire".