La lezione di Oriana Fallaci: il diritto di odiare e la necessità di reagire
Succede tutte le volte, dopo ogni attacco, dopo ogni strage. C'è sempre qualcuno di buon cuore che invita a non cedere alla fumante tentazione della rabbia. C'è sempre un bene intenzionato secondo cui all'odio bisogna rispondere con la tranquillità, proseguendo con la propria vita come se niente fosse, altrimenti si rischia di alimentare una spirale senza fine di violenza. Non dubitiamo delle oneste intenzioni di chi vuole raffreddare gli animi e si oppone al conflitto. Purtroppo, però, i ripetuti inviti alla prosecuzione della propria esistenza come se nulla fosse accaduto non permettono di vedere con chiarezza la minaccia che ci morde i calcagni. I fanatici musulmani responsabili dell'ecatombe di Parigi - e non solo loro - non stanno rispondendo a provocazioni. Non hanno bisogno di essere in qualche modo innescati. Da un certo punto di vista non sono nemmeno terroristi: perché un terrorista colpisce i civili inermi per raggiungere un obiettivo politico, per sovvertire un governo o piegarlo ai propri interessi. Quando al-Qaeda organizzò l'assalto ai treni spagnoli nel 2004, voleva costringere Madrid a ritirare le truppe dall'Iraq, e ci riuscì: fu eletto Zapatero. Adesso però abbiamo davanti un nemico diverso, il cui unico obiettivo è quello di sottometterci o di eliminarci fisicamente. La «provocazione», per lo Stato islamico, sta nel fatto che noi esistiamo in quanto europei. Vogliono cancellare la nostra civiltà, e sono disposti a tutto. Una reazione pacifica servirebbe soltanto a tramutarci in pecore da condurre al macello. Sarà scorretto, sarà sgradevole da dire, ma di fronte ai tagliagole noi dobbiamo rivendicare il nostro diritto all'odio. Vale la pena rileggere quanto scrisse sull'argomento Oriana Fallaci, le cui pagine vengono molto citate in questi giorni, spesso a sproposito. Basta sfogliare il libro Le radici dell'odio, pubblicato poco tempo fa da Rizzoli, per rendersi conto di quanto la grande toscana avesse ragione a proposito di certo islam. «È un nemico che trattiamo da amico», scriveva. «Che tuttavia ci odia e ci disprezza con intensità. Tale intensità che verrebbe spontaneo gridargli: se siamo così brutti, così cattivi, così peccaminosi, perché non te ne torni a casa tua? Perché stai qui? Per tagliarci la gola o farci saltare in aria? Un nemico, inoltre, che in nome dell'umanitarismo e dell'asilo politico (ma quale asilo politico, quali motivi politici?) accogliamo a migliaia per volta anche se i Centri di Accoglienza straripano, scoppiano, e non si sa più dove metterlo. Un nemico che in nome della “necessità” (ma quale necessità, la necessità di riempire le strade coi venditori ambulanti e gli spacciatori di droga?) invitiamo anche attraverso l'Olimpo Costituzionale. “Venite, cari, venite. Abbiamo tanto bisogno di voi”». Un nemico che ci odia, appunto. Che ci considera miscredenti da eliminare. A questo nemico non si può rispondere con l'indifferenza. Perché già l'indifferenza, agli occhi degli estremisti islamici, è un'offesa. Entrare in un locale per assistere a un concerto rock è un insulto. Cenare in un ristorante e bere vino è un insulto. La nostra vita quotidiana è un insulto. Che il Califfato vuole lavare nel sangue. Ecco perché abbiamo il dovere di difenderci, e pure il diritto a odiare i bastardi che ammazzano giovani indifesi al Bataclan. Abbiamo diritto a odiare anche se il politicamente corretto impone il contrario, anche se chi pronuncia parole dure viene denunciato, additato come un criminale. Scriveva ancora Oriana: «Può l'odio essere proibito per legge? L'odio è un sentimento. È una emozione, una reazione, uno stato d'animo. Non un crimine giuridico. Come l'amore, l'odio appartiene alla natura umana. Anzi, alla Vita. È l'opposto dell'amore e quindi, come l'amore, non può essere proibito da un articolo del Codice Penale. Può essere giudicato, sì. Può essere contestato, osteggiato, condannato, sì. Ma soltanto in senso morale. Ad esempio, nel giudizio delle religioni che come la religione cristiana predicano l'amore. Non nel giudizio d'un tribunale che mi garantisce il diritto di amare chi voglio». Oriana subì un processo per istigazione all'odio. E in questi giorni c'è chi ha chiesto l'intervento della magistratura per sanzionare Libero, colpevole di aver fatto un titolo sgradito ai professionisti del buonismo. È anche a costoro che bisogna ribadire il nostro diritto a odiare gli assassini di Parigi, e tutti i loro predecessori e imitatori. «Se ho il diritto di amare chi voglio, ho anche e devo avere anche il diritto di odiare chi voglio», scriveva la Fallaci. «Incominciando da coloro che odiano me. Sì, io odio i Bin Laden. Odio gli Zarkawi. Odio i kamikaze e le bestie che ci tagliano la testa e ci fanno saltare in aria e martirizzano le loro donne. Odio (…) i complici, i collaborazionisti, i traditori, che ci vendono al nemico. (...) E se sbaglio, ditemi perché coloro che odiano me più di quanto io odi loro non sono processati col medesimo atto d'accusa. Voglio dire: ditemi perché questa faccenda dell'Istigazione all'Odio non tocca mai i professionisti dell'odio, i mussulmani che sul concetto dell'odio hanno costruito la loro ideologia. La loro filosofia. La loro teologia. Ditemi perché questa faccenda non tocca mai i loro complici occidentali». Già, sarebbe carino scoprire perché odiare i tagliagole non si può, mentre odiare Libero, o la Fallaci o chiunque la pensi diversamente è concesso. Forse perché odiandoci si fa bella figura in società? di Francesco Borgonovo