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Nuovo farmaco giapponeseper proteggersi dall'ictus

La fibrillazione atriale, aritmia molto frequente tra gli anziani, espone a maggior rischio di ictus

Maria Rita Montebelli
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Oltre un milione di italiani ha il cuore che batte fuori tempo, avendo perso il ‘ritmo' a causa di un'aritmia, la fibrillazione atriale. Un disturbo molto comune, ma non per questo innocente, visto che si associa in molti casi ad un aumentato rischio di ictus, cioè di ostruzione di un'arteria cerebrale causata da un embolo partito da una camera del cuore. A rischio soprattutto gli over-65 che, per proteggersi da questa temibile complicanza (l'ictus, oltre ad essere una delle principali cause di morte nel nostro Paese, è la prima causa di disabilità), dovrebbe assumere per tutta la vita una terapia anticoagulante, che serve appunto a rendere il sangue più fluido e ad evitare che formi coaguli all'interno del cuore e dei vasi, con tutte le conseguenze che questo comporta. Eppure, ad oggi, meno di una persona su due di quelle a rischio, è effettivamente in trattamento con farmaci anticoagulanti. Il perché è presto spiegato: fino ad oggi questo tipo di terapia richiedeva, per adeguarne il dosaggio e controllarne l'efficacia, frequenti esami del sangue; inoltre una lunga serie di farmaci e di cibi (in particolare quelli ricchi di vitamina K come le verdure), interferiscono con i vecchi anticoagulanti orali, rendendoli o troppo ‘attivi', e quindi esponendo il paziente a rischio di emorragie anche gravi (ad esempio se avvengono nel cervello) o, al contrario, poco attivi e quindi non proteggendo dalle ischemie. Per questo, grande è l'interesse che circonda i nuovi farmaci anticoagulanti orali, alcuni già disponibili anche nel nostro Paese, altri in arrivo. Uno dei più recenti è l'edoxaban, un anticoagulante orale che si somministra una volta al giorno a dosaggio fisso e che non richiede esami del sangue per valutarne il funzionamento. Il farmaco è stato oggetto del più grande studio mai organizzato sulla prevenzione dell'ictus da fibrillazione atriale, l'Engage-AF TIMI 48, i cui risultati sono stati presentati al congresso dell'American Heart Association a Dallas, di recente pubblicati sul New England Journal of Medicine. Il Trial clinico. Questo trial clinico ha arruolato oltre 21 mila pazienti in 46 Paesi in tutto il mondo, prendendo in esame tre diversi gruppi di pazienti.  “Il primo gruppo – spiega il professor Raffaele De Caterina, Ordinario di Malattie dell'Apparato Cardiovascolare all'Università di Chieti – è stato sottoposto a trattamento con una singola somministrazione giornaliera di edoxaban 60 mg, il secondo con una singola somministrazione giornaliera di edoxaban 30 mg, il terzo con warfarin, per una durata mediana di 2,8 anni. Tra i pazienti trattati con edoxaban 60 mg l'incidenza annuale di ictus è stata dell'1,18 % rispetto all'1,50 % nel gruppo warfarin, con una significativa riduzione del 20% degli eventi emorragici maggiori. Il trattamento con edoxaban 30 mg ha registrato un'incidenza annuale di ictus o di eventi embolici sistemici dell'1.61% rispetto all'1.50% del warfarin, con una significativa riduzione del 53% degli eventi emorragici maggiori. Anche l'incidenza annuale di morte cardiovascolare è stata significativamente ridotta: 2,74% con edoxaban 60 mg e 2,71% con edoxaban 30 mg, rispetto al 3,17% con warfarin. Grazie a questi risultati – continua  il professor De Caterina – edoxaban si porpone come una nuova importante opzione terapeutica per la prevenzione dell'ictus e degli eventi embolici sistemici, riducendo significativamente il rischio di emorragie rispetto al warfarin . È stato inoltre identificato un adeguato regime di aggiustamento della dose per i pazienti con fattori associati ad un maggior rischio di sanguinamento, come la compromissione della funzionalità renale, il basso peso corporeo, o trattamenti concomitanti con alcuni farmaci”. Buona notizia per i pazienti. “I risultati di questo studio – sottolinea Alessandro Granucci, presidente Feder-AIPA (Federazione Associazioni Italiane Pazienti Anticoagulati), che raggruppa 65 associazioni di volontariato sparse nella penisola – sono una buona notizia per i pazienti che necessitano del trattamento anticoagulante, perché edoxaban promette di semplificare la gestione quotidiana della patologia, migliorando la qualità della vita. Essere un paziente in trattamento anticoagulante significa infatti vivere una condizione di rischio continuo, e può comportare un vero e proprio salto nel buio”. Secondo una ricerca di Feder-AIPA condotta lo scorso novembre, e che ha coinvolto circa 56 mila associati, le problematiche più difficili da gestire, sono nell'ordine la preoccupazione dei pazienti per le improvvise variazioni dell'INR (l'esame del sangue che misura l'intensità e l'adeguatezza della terapia anticoagulante), doversi sottoporre con frequenza a prelievi per il controllo dell'INR e infine ricordarsi di dover assumere il farmaco. E su questi fronti, Feder-AIPA assicura che continuerà, in tutti i centri ospedalieri dove è presente, la sua opera d'informazione, di divulgazione e di counseling al fianco del paziente anticoagulato, senza volersi naturalmente sostituire al medico e al personale sanitario dedicato. “I nuovi anticoagulanti orali, come dimostrato dallo studio ENGAGE AF-TIMI 48 – commenta Gualtiero Palareti, professore di Malattie dell'Apparato Cardiovascolare all'Università di Bologna – possono consentire finalmente di ampliare la fascia di popolazione ancora non protetta, che potrà essere curata adeguatamente con una terapia efficace, sicura e molto più semplice da utilizzare, sia per i pazienti che per il sistema salute. L'attuale terapia anticoagulante richiede infatti un'organizzazione sanitaria piuttosto complessa, essendo necessari frequenti controlli del sangue e una conseguente regolazione del dosaggio farmacologico, per ridurre le complicanze connesse all'impiego degli antagonisti della vitamina K”. (LAURA MONTI)

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