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L'umanesimo delle nuove terapie anti-diabete

Approvata dall'EMA (non ancora dall'AIFA) degludec, l'insulina ‘flessibile' e amica della qualità di vita

Maria Rita Montebelli
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Il progresso della terapia non si misura solo sulla maggiore potenza dei farmaci, ma anche sul loro minor impatto sulla qualità di vita. E questo è vero in particolare quando si parla di farmaci destinati a patologie croniche. A segnare una nuova era nella filosofia del trattamento del diabete sono ad esempio tutti i farmaci innovativi arrivati sul mercato negli ultimi anni, le cosiddette terapie basate sulle incretine. Farmaci innovativi nel meccanismo d'azione, ma soprattutto sicuri sul versante dell'effetto indesiderato più temuto dai pazienti in terapia con antidiabetici: le ipoglicemie. La terapia del diabete si muove infatti tra la ‘Scilla' dell'iperglicemia, dei valori di glicemia alle stelle, fuori controllo e il ‘Cariddi' delle ipoglicemia, cioè della caduta in picchiata dei valori di glicemia, indotti da una terapia troppo spinta sul versante del dosaggio o per la potenza intrinseca di un farmaco. Non è questo il caso delle terapie basate sulle incretine, farmaci che funzionano fin dove c'è bisogno, fino a quando cioè i valori di glicemia sono elevati. Nell'ambito delle insuline, non siamo ancora arrivati all'insulina ‘intelligente', capace di ‘sentire' i livelli di glicemia e di agire in funzione di questi; ma ci si sta lavorando sopra. “ Per insulina ‘intelligente' - afferma il prof. Stefano Del Prato, presidente della Società Italiana di  (SID) –  si intende quella coniugata a particolare polimeri che formano dei pori, capaci di ‘rispondere' alle variazioni della glicemia; se la glicemia sale, i pori si aprono  e l'insulina viene liberata per svolgere la sua azione; quando la glicemia scende, i pori si chiudono e l'insulina non si rende più disponibile, evitando così di esporre il paziente al rischio di una crisi ipoglicemica”. Ma questa soluzione appartiene ancora al futuro. Più vicina in termini temporali è invece l'insulina ‘flessibile' e ‘umana', la degludec, che avendo una durata d'azione di circa 42 ore, può essere fatta una volta al giorno, ma non necessariamente alla stessa ora, andandosi così ad adeguare alle necessità del paziente. “La degludec – spiega il professor Francesco Giorgino, Ordinario di Endocrinologia presso l'Università di Bari e Coordinatore eletto del Comitato Scientifico della SID – è un'insulina ‘basale' che mima cioè la secrezione continua di piccole quantità di insulina da parte del pancreas, anche a digiuno e durante la notte, che avviene in condizioni normali. La degludec, iniettata nel sottocute, forma aggregati ad elevato peso molecolare, che sono come delle fibre costituite da tante unità di insulina; nell'arco delle ore, da questi macroaggregati, viene lentamente rilasciata l'insulina che poi passa nel sangue e viene resa disponibile per la propria attività. Si tratta di un meccanismo di rilascio ritardato dunque ma anche molto controllato e innovativo rispetto ad altri meccanismi finora utilizzati.” Gli studi clinici che hanno confrontato la nuova insulina degludec con la ‘classica' glargine, hanno evidenziato che degludec dà meno ipoglicemie (nei diversi studi da -20 a -40%), riducendo in particolare quelle notturne, le più pericolose. Ma questa nuova insulina non dà solo un vantaggi clinici. Lo studio BEGIN ONCE LONG, condotto su 5700 pazienti con diabete di tipo 2, trattati o con degludec o con glargine, durato due anni e presentato al congresso dell'ADA, dimostra che l'insulina degludec fa bene anche alla qualità di vita. Esplorando attraverso il questionario SF-36 una serie di indicatori di performance delle attività quotidiane e di qualità di vita, i pazienti trattati con degludec hanno fatto registrare punteggi miglior di quelli trattati con glargine, relativamente ad una migliore qualità di vita e benessere fisico. Il gruppo trattato con degludec in particolare ha presentato un miglior punteggio relativo allo svolgimento delle comuni attività quotidiane (come camminare e vestirsi) e in relazione al malessere fisico, in grado di condizionare le attività giornaliere. In questo studio si è registrato inoltre un tasso di ipoglicemie notturne significativamente inferiore nei pazienti trattati con degludec, rispetto a quelli trattati con glargine (-43%). “L'insulina – commenta il professor Giorgino - rimane uno strumento potente, ma ciò che conta è che accanto alla potenza vi sia anche la sicurezza, minimizzando cioè il rischio che lo strumento terapeutico possa dare un'esperienza negativa e pericolosa, come quella di una crisi ipoglicemica, al paziente. In questo senso ONCE LONG è uno studio ‘umanistico', poiché ha esplorato l'impatto sulla qualità di vita che una terapia può avere. Ma l'ipoglicemia naturalmente non è solo un'esperienza negativa sul piano soggettivo, potendo indurre anche un danno organico. Le ipoglicemie possono infatti provocare danni cardiovascolari (aritmie e ischemia cardiaca), oltre a favorire le disfunzioni cognitive (la demenza). Infine le ipoglicemie sono spesso causa di accesso al pronto soccorso e di ricovero, anche perché, riducendo il livello di vigilanza, possono indurre incidenti stradali o traumi da caduta. Anche questo aspetto incide non poco sui costi sanitari; si stima infatti che ogni anno in Italia si spendano circa 45 milioni di euro per i ricoveri da ipoglicemie gravi”. (LAURA MONTI)

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