G-test genetico sul sangue materno E' tutto italiano il migliore al mondo
Il confronto del test messo a punto da una spin off dell'Università di Roma Tor Vergata con gli altri in uso mostra performance superiori per sensibilità e accuratezza del risultato
Non è certo né il primo né l'unico test prenatale che usa la tecnologia di sequenziamento del DNA, ma di certo quello con la sperimentazione più ampia: stando per lo meno a quello che dichiarano i ricercatori dell'Università di Roma ‘Tor Vergata' che hanno presentato la loro spin off Bioscience Genomics. Non solo, ma anche quello che esprime le migliori performance in termini di sicurezza e affidabilità dei risultati considerando gli oltre 10 mila test effettuati. Sono stati infatti confrontati i dati, presenti in letteratura, delle cinque più importanti piattaforme di genomica per lo screening delle patologie cromosomiche da DNA fetale presente nel sangue materno: il G-Test - prodotto da Bioscience Genomics - e di quattro test americani più diffusi. Il test prodotto dallo spin off dell'Università di Roma Tor Vergata presenta la più alta percentuale di sensibilità per lo screening della Trisomia 21 (99,17%) e della Trisomia 13 (100%) e il minor rateo di falsi positivi (0,05% e 0,04%). Inoltre include automaticamente l'analisi delle aneuploidie dei cromosomi sessuali, delle Trisomie 9, 16 e 22 e di 9 sindromi da delezione, anomalie caratterizzate dall'assenza di un tratto di cromosoma e quindi dei geni localizzati sul frammento mancante. La validità di un test genetico è data dal basso numero di falsi positivi e dalla sua sensibilità. La validità del test. “Test infallibili non esistono – riconosce il professor Giuseppe Novelli, rettore dell'Università di Roma ‘Tor Vergata' e direttore del Dipartimento di Genetica Umana – perché esiste sempre un 3% di possibilità che il figlio nasca con gravi disabilità dovuta alla mutazione continua del DNA dei genitori”. La sensibilità è la capacità del test di individuare correttamente i feti affetti dalle anomalie oggetto del test; il G-test ha un valore predittivo negativo maggiore del 99,99% , vale a dire, ad esempio, che se il test indica che un feto non è affetto da Sindrome di Down, questa valutazione risulterà corretta con una probabilità del 99,99%. Grazie anche alla bassissima percentuale di ‘falsi allarmi' provocati dai Falsi Positivi (circa lo 0,05%)si riduce drasticamente il rischio di far sottoporre gestanti risultate ad alto rischio di avere un figlio Down ad approfondimenti invasivi non necessari, con relativo rischio abortivo. La ‘mancata risposta' è la condizione in cui risulta impossibile fornire un qualsiasi risultato e si configura, quindi, il fallimento del test (dopo aver atteso con fiduciosa speranza anche più di 2 settimane). Il G-Test, prodotto da Bioscience Genomics presso l'Università di Roma Tor Vergata, presenta la più bassa percentuale di mancata risposta, solo lo 0,069%, a differenza dei competitor americani che incorrono nel fallimento nel 4,6% (Ariosa) dei casi, arrivando anche al 10,7% nel caso di Panorama. Un test ‘precoce' e ‘controllato'. Il G-test può essere fatto dalla decima settimana di gestazione. A partire da questa data infatti è possibile trovare nel sangue materno una quantità di DNA fetale tale da permettere una analisi attendibile. “Non dimentichiamo che nel giro degli ultimi 2 anni il numero delle amniocentesi è crollato del 70% - sottolinea il professor Massimo Giovannini, direttore del Dipartimento materno infantile della ASL Roma 3 – e che a differenza del G-test l'amniocentesi è possibile solo dopo la 15-18ma settimana”. Il G-Test ha una validazione ottenuta su più di 600mila test effettuati, di cui quasi 150mila pubblicati su importanti riviste scientifiche internazionali ,al contrario di altri test che raggiungono al massimo una casistica pubblicata di 35mila test e che, per alcuni altri, si limita ad una irrisoria casistica pubblicata di 1194 test (trattasi di azienda americana il cui test viene commercializzato anche in Italia). Cosa significa poter contare su così tanti test? La validazione di un nuovo test di screening richiede la definizione dei parametri di performance (sensibilità e specificità) basati su una casistica tanto più ampia quanto più sono rare le anomalie che valuta: difficile sbagliare una rilevazione se i campioni analizzati sono quasi tutti di soggetti sani. Nel caso in cui si vuole convalidare una nuova metodica, è necessario eseguire determinazioni ripetute decine e decine di migliaia di volte, verificando attraverso un follow-up gli esiti ottenuti; una osservazione limitata nel numero può avere carattere accidentale, quando invece occorrono prove in ‘cieco' di campioni codificati, sia positivi, cioè di pazienti nei quali si sa che l'alterazione è presente, che negativi, cioè di controlli sani. Quindi maggiore è il numero di casi usati per avere dati di conferma, più il test può essere considerato valido e affidabile. Un ultima cosa: il vantaggio di avere i laboratori a Roma non è irrilevante in quanto i lunghi viaggi oltreoceano, a cui sono sottoposti i campioni destinati negli USA, rappresentano una causa di potenziale insuccesso del test per i rischi connessi al durata del trasporto e agli sbalzi termici possibili. (ANDREA SERMONTI)