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Neuroni transgender

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Anche i neuroni, possono cambiare idea. Con l'aiuto di un fattore di trascrizione. E di un genio italiano trapiantato ad Harvard

Maria Rita Montebelli
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E' un altro di quei dogmi apparentemente incrollabili della medicina che se ne va, lasciando posto alla speranza. A quella da fantascienza. I neuroni, è noto, sono cellule altamente specializzate, ognuna con un compito specifico nelle varie aree del sistema nervoso. Fino ad oggi si riteneva che questa estrema specializzazione fosse al tempo stesso la loro forza e la loro debolezza, nel senso che, una volta danneggiate o uccise da qualche evento negativo, nessun'altro potesse prendere il loro posto. Questo perché, altre cellule ‘professoresse' non sarebbero state in grado di piegarsi e tornare su banchi di scuola per apprendere quanto le loro colleghe ‘estinte' erano riuscite ad incamerare nella loro vita. Ci hanno pensato Paola Arlotta, professore associato presso l'Harvard's Department of Stem Cell and Regenerative Biology (SCRB) e i suoi ricercatori a far crollare il mito delle cellule nervose ‘imbalsamate' nella loro specializzazione. Altri loro colleghi, sempre ad Harvard, avevano qualche anno fa dimostrato che è possibile trasformare cellule del pancreas esocrino (che producono enzimi digestivi) in cellule del pancreas endocrino, produttrici di insulina. Ma il tabù dell'immutabilità delle cellule del cervello non era stato ancora infranto. La scoperta, appena pubblicata su Nature Cell Biology è di quelle epocali. Arlotta e colleghi sono riusciti a trasformare alcune cellule del corpo calloso (quella parte del cervello che mette in collegamento tra loro i due emisferi cerebrali) in cellule simili ai motoneuroni cortico-spinali, come quelli che vengono distrutti nella sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Per riprogrammare l'identità e la specializzazione dei neuroni, i ricercatori di Harvard hanno utilizzato un fattore di trascrizione, il Fezf2, che gioca un ruolo importante nella vita embrionale. E ciò che rende veramente unico questo esperimento, è il fatto che è stato condotto in vivo, su topini da esperimento, e non su colture cellulari isolate. Adesso si tratterà di capire se questo ‘trasformismo' delle cellule nervose si mantiene a tutte le età (l'esperimento è stato condotto su topini molto giovani) o se è evocabile solo in una certa finestra temporale. Se tutto ciò fosse riproducibile anche nell'uomo, potrebbe avere delle ricadute insperate nel trattamento delle malattie neurodegenerative che, come nella SLA, interessano un tipo particolare di neuroni, lasciando più o meno intatto il resto. “Se in un soggetto affetto da SLA – commenta la Arlotta – si riuscisse a rigenerare anche una piccola parte dei motoneuroni compromessi dalla malattia, si potrebbero ripristinare alcune funzioni basilari”. Per arrivare a questi risultati spettacolari, Arlotta e colleghi hanno condotto esperimenti su migliaia di neuroni nel corso degli ultimi 5 anni, tentando di strappar loro il segreto della riprogrammazione di identità e specificità neuronale, un fenomeno che non si osserva spontaneamente in natura. Loro hanno dimostrato che si può fare, che è possibile ‘forzare' l'identità di cellule nervose ormai adulte e specializzate, per trasformarle in altro, in possibili ‘pezzi di ricambio'.  Ma prima di presentare questi risultati rivoluzionari alla comunità scientifica hanno voluto essere certi di non aver preso un abbaglio. Ora sanno per certo che i neuroni si possono riprogrammare. Ma è solo un primo, anche se importantissimo passo. I neuroni sono infatti cellule ‘sociali'; trasformarli in qualcos'altro non basta; devono imparare a dialogare e ad integrarsi con i complessi circuiti nervosi già esistenti, per poter fungere veramente da ‘stampella' o da ‘pezzo di ricambio' a quelle parti del cervello o del midollo spinale danneggiate irrimediabilmente. Ma forse il futuro questa volta è veramente a portata di mano. (MARIA RITA MONTEBELLI)

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