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Elsa è all'angolo: sempre più sola Governo cambia tutta la riforma

Partiti e parti sociali contro la riforma. Anche Monti sbugiarda il ministro del Welfare e l'esecutivo è pronto a rimaneggiare il ddl

Andrea Tempestini
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La riforma del lavoro cambierà. Non sull'articolo 18, perché l'accordo su quella parte tanto controversa ormai viene considerato blindato. Ma tutto il resto sarà passibile di modifica. Lo chiede il Pdl, lo chiede il Pd e anche imprese e sindacati. All'interno dell'esecutivo negli ultimi giorni lo scontro è stato duro. Le parole di Elsa Fornero («o la riforma passa così com'è o andiamo a casa») non sono piaciute a nessuno. Tanto meno a Mario Monti. Costretto a intervenire pubblicamente e a redarguirla in privato. Passera si corregge - Ma anche Corrado Passera, Andrea Riccardi e Pietro Gnudi non sono stati teneri con il ministro del Welfare. Che ieri ha corretto le sue parole, smentendo di aver mai pronunciato il famoso aut aut. «Intendevo dire che la riforma non dovrà essere stravolta», ha detto Fornero, sottolineando inoltre che «sull'articolo 18 non c'è stato alcun tradimento da parte dell'esecutivo». Lo stesso Passera, giusto per far capire l'aria dentro il consiglio dei ministri, è andato in tv a dire che la riforma «arriverà in porto anche accettando alcune modifiche». Lasciando presagire un'alta disponibilità del governo alla trattativa. Così, sempre ieri, Monti si è visto costretto a riequilibrare sul fronte opposto. «Nel recente disegno di legge abbiamo previsto un intervento considerevolmente più ampio e incisivo di quello da me delineato a novembre, anche perché le modifiche coinvolgono tutti i lavoratori e non soltanto i nuovi assunti», ha spiegato il presidente del consiglio. Obbligato a difendere la bontà della sua riforma. Che però in Parlamento verrà quasi certamente cambiata. Le pressioni dei partiti - Le richieste, infatti, arrivano da più fronti. Il Pdl, per esempio, chiede modifiche su contratti a termine, partite Iva e apprendistato. Sul primo punto, infatti, il partito di Alfano vorrebbe riportare l'aumento contributivo per le aziende sui livelli europei, che prevedono un surplus dell'1,4 per cento di imposte alle aziende, ma anche ripristinare i termini di interruzione tra un contratto e l'altro. Sulle partite Iva, poi, si chiedono maggiori controlli. Mentre sull'apprendistato si vorrebbe eliminare o abbassare il vincolo imposto alle aziende di assumere il 30 per cento dei lavoratori sottoposti a questo tipo di contratto. «La riforma del lavoro è indispensabile, ma non siamo disposti a dare il via libera a leggi che mantengono certe forme di rigidità, vero e proprio danno per l'occupazione», afferma Maurizio Gasparri. «La si può rigirare come si vuole, ma la riforma così com'è crea un mondo del lavoro più rigido che danneggia le imprese e, di conseguenza, anche i lavoratori», aggiunge il pidiellino Giuliano Cazzola. Ma anche il Pd ha le sue riserve. Per esempio sugli ammortizzatori sociali. Perché, come ha spiegato Cesare Damiano, «la richiesta di un aumento dei contributi previdenziali per i lavoratori a progetto non è compensata da tutele in caso di disoccupazione». E anche sul maggiore costo dei contratti a termine il partito di Bersani ha qualcosa da dire, concordando in parte con il Pdl. Insomma, sembra proprio che per i due maggiori partiti che sostengono il governo la riforma faccia acqua da tutte le parti. L'incontro con Monti - Questa sera le modifiche saranno un tema del tavolo del vertice tra il premier e i tre leader. «Vogliamo raggiungere un'intesa di massima per non lasciare tutto agli imprevisti del dibattito parlamentare», fanno sapere da Palazzo Chigi. Resta però da vedere quanto i partiti hanno intenzione di chiedere e il governo di concedere. Un allarme, infine, arriva proprio dai tecnici del Senato che stanno esaminando il ddl. E riguarda ancora una volta l'articolo 18. Secondo Palazzo Madama c'è il rischio di minori tutele durante il processo per i lavoratori licenziati, perché la sentenza di reintegro da parte del giudice potrebbe essere sospesa fino al giudizio di appello. Mentre, sul fronte opposto, Confindustria critica il fatto che il licenziamento per motivi disciplinari possa venire annullato se il giudice lo riterrà sproporzionato alla colpa commessa o al danno arrecato all'azienda. di Gianluca Roselli

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