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Ma i leghisti litigano per la cassa

Sostituito il responsabile amministrativo: la nuova arrivata è una maroniana e Castelli vuole dimettersi dal comitato finanze del partito

Lucia Esposito
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Non solo il capogruppo. Alla Camera i leghisti cambiano anche il responsabile amministrativo, ovvero la figura che in concreto ha le chiavi del bilancio (milionario) del gruppo. Con Marco Reguzzoni, colonna del cerchio magico, c'era Claudio D'Amico, vicino all'ex ministro Roberto Calderoli. Ora, con l'arrivo del trevigiano Giampaolo Dozzo, è arrivata Silvana Comaroli che s'è insediata martedì. E che ha già messo le mani avanti: «Non ci sono controlli in corso rispetto alla gestione precedente». Proprio i soldi sono il motivo che hanno allontanato Roberto Maroni dalla poltrona di leader dei deputati: Umberto Bossi s'era convinto volesse l'incarico per mettere le mani sui fondi, magari per creare un nuovo partito. Scenario seccamente smentito dall'ex ministro, che poi aveva deciso di fare un passo indietro per zittire le malelingue. Il cruccio Ormai il denaro è un vero e proprio cruccio per la Lega, soprattutto dopo la notizia degli investimenti all'estero del tesoriere Francesco Belsito. Manovre che l'interessato ha giustificato così: «Bossi è informato di tutto». Frasi che non hanno convinto parecchi colleghi. Non solo Maroni, che vuole trascinare la questione in consiglio federale. Sono quantomeno perplessi anche i membri del comitato che vigila sulle finanze padane. Formalmente, infatti, Belsito è affiancato da due parlamentari come Roberto Castelli e Piergiorgio Stiffoni. Pochi giorni fa, l'ex Guardasigilli avrebbe offerto al Senatur le dimissioni perché impossibilitato a controllare i movimenti finanziari. Bossi però gli ha chiesto di restare. C'è da ricordare che la firma per spostare il denaro della Lega (che ha destino diverso da quello dei gruppi parlamentari) è solo del tesoriere, che ha somme depositate in vari istituti di credito. Anche in quelli che facevano riferimento alle ex banche di Giampiero Fiorani (finito nei guai per la scalata ad Antonveneta), e ora confluite nel Banco Popolare. In Liguria, Belsito ha aperto un nuovo conto prosciugando quello aperto alla Banca Popolare di Milano di Massimo Ponzellini, chiuso - guarda caso - dopo la caduta in disgrazia di quello che era il grande amico di Bossi e Tremonti. Soldi pubblici Come ha scritto nel libro “Partiti s.p.a” il giornalista Paolo Bracalini, solo per i rimborsi elettorali dai suoi esordi ad oggi, il Carroccio ha incassato qualcosa come 170 milioni di euro. In questo quadro resta ancora misteriosa la faccenda dei soldi investiti all'estero. In Tanzania come a Cipro. E che non hanno visto il coinvolgimento di fondi istituzionali. Nel paese africano, il destinatario del maxi-bonifico da 4,5 milioni di euro e deciso da Belsito è stato Stefano Bonet («executive consultant» ma anche amministratore di società già in affari con l'ex ministro azzurro Aldo Brancher, molto vicino a Fiorani). Nel caso di Cipro, invece, a incassare 1,2 milioni è stata la società di consulenza fiscale Kripsa, il cui titolare è Paolo Scala. Tanti misteri. A cui si aggiungono altre fibrillazioni che riguardano sempre faccende economiche. Ieri i leghisti si sono scazzottati per la questione dei vitalizi. Una pattuglia di padani (parecchi ex ma alcuni tuttora nel partito, in primis il presidente della Provincia di Brescia Daniele Molgora) hanno deciso di fare ricorso contro la riforma che - in concreto - taglia i privilegi dei politici. La data «Mi auguro che i colleghi della Lega che hanno presentato il ricorso lo ritirino e accettino, come ho accettato io, le nuove regole» tuona Maroni. «È stato un errore opporsi allo slittamento dei vitalizi, una scelta personale che non condivido. Siamo in politica per la Padania e non per il nostro portafoglio». Contro Molgora sono insorti parecchi militanti di Brescia, e in particolare alcuni colleghi come Davide Caparini e Giacomo Stucchi. «Sono pronto e disponibile a ritirare il mio ricorso se l'intervento sarà vero e non di facciata» s'è difeso Molgora. Fatto sta che il suo ricorso è finito sul tavolo del consiglio nazionale lombardo di ieri pomeriggio: se non farà un passo indietro la palla passerà al consiglio federale che deciderà addirittura della sua espulsione. Il leader lombardo Giancarlo Giorgetti ha preso tempo sul congresso che designerà il suo successore. Maroni avrebbe voluto fissare l'assise già a marzo, come fatto da Roberto Cota in Piemonte. Invece la data verrà decisa non prima di un mese e mezzo. In vista delle Amministrative, invece, la Lega ha deciso correrà da sola o con liste civiche: sotto i 15mila abitanti servirà il via libera del nazionale. Sopra, verrà chiamato in causa il federale. Matteo Pandini twitter @padanians

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