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In arrivo un'altra stangata

La recessione incide sui conti pubblici: il Professore starebbe studiando un nuovo intervento da 15,5 miliardi

Lucia Esposito
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L'idea di Mario Monti che con il suo piano di liberalizzazioni il Pil italiano avrà una scossa tale da farlo crescere di dieci punti è stata considerata più o meno come una di quelle barzellette raccontate da Silvio Berlusconi ai vertici internazionali. La doccia gelata agli entusiasmi del premier italiano (che la barzelletta l'ha raccontata, ma non ci crede nemmeno lui), è arrivata ieri da Moody's, la terza sorella del rating che potrebbe dare all'Italia la mazzata decisiva. L'agenzia americana in un suo rapporto sull'Italia sostiene che il decreto legge salva-Italia approvato a  dicembre «ridurrà il redito disponibile delle famiglie attraverso un taglio dei trasferimenti e un aumento delle tasse». Questo costerà all'Italia la recessione di un punto di pil nel 2012 e un tasso di disoccupazione che dovrebbe lievitare dall'8,2 all'8,8%. Il giudizio di Moody's è importante, perché nelle ultime settimane il rating del debito pubblico italiano è stato declassato pesantemente da Standard & Poor's (giudizio BBB+) e da Fitch (giudizio A-). Moody's negli ultimi anni è intervenuta qualche tempo dopo le altre agenzie, e già il 4 ottobre scorso aveva declassato a livello A2 il debito pubblico italiano con un giudizio negativo sulle prospettive future. Il 12 dicembre scorso la stessa agenzia americana aveva iniziato ad esaminare il decreto salva-Italia di Monti dandone un giudizio sostanzialmente positivo, ma riportando la stima governativa di una crescita del Pil italiano dello 0,5% nel 2012. Nel giro di poco più di un mese Moody's ha rivisto profondamente quella sua prima impressione, valutando fortemente recessive le misure varate dal nuovo governo. Ed è la sola delle tre grandi sorelle del rating ad avere dato un giudizio negativo sul lavoro del governo Monti. Come questo si tradurrà in un possibile declassamento dell'Italia, è la vera domanda che in questo momento si stanno facendo tutti gli esperti. Se il prossimo declassamento dovesse essere di un solo gradino, l'Italia sarebbe sul ciglio del burrone, ma il giudizio A3 consentirebbe ancora agli investitori istituzionali del mondo di inserire nel loro portafoglio Btp e Bot. Se Moody's facesse scivolare il rating di due gradini- come ha fatto S&P, allora si entrerebbe nel dramma. Fondi pensione e molti altri investitori internazionali non possono tenere titoli che non abbiano la “A” in portafoglio. E quella A viene calcolata nel giudizio mediano delle tre sorelle del rating: si toglie il valore più alto e quello più basso. Resterebbe quello centrale a certificare che l'Italia è davvero caduta in serie “B” e che il suo debito deve essere fuggito come la peste dagli investitori istituzionali sani, obbligati a proteggere il portafoglio dei loro clienti. La doccia gelata di Moody's fa capire bene come l'arca di Monti stia navigando in una tempesta che apre falle appena ne ripari una. Ieri il report è arrivato mentre qualche notizia non pessima stava emergendo dal vertice europeo sul nuovo patto di Bilancio che integrerà e in parte sostituirà le attuali regole di Maastricht. Lì ci sono misure che fanno tremare i polsi all'Italia: perché la strada segnata per la riduzione del debito pubblico al 60% del Pil in assenza di crescita robusta si trasformerebbe in manovre annuali da 40 miliardi di euro per almeno 15 anni, rendendo impossibile a qualsiasi futuro esecutivo una pallida ipotesi di politica economica. Siccome tutti hanno le loro ferite da leccarsi in questo momento (la Spagna ha più di un problema, la Francia li sta scoprendo in queste settimane), le norme draconiane imposte hanno ora una via di fuga straordinaria: nel trattato non saranno previste sanzioni per chi viola le regole. Quindi se uno non fa la manovra da 40 miliardi annui di rientro dal debito pubblico, non accade nulla. Ed è naturalmente una ottima notizia per un paese come l'Italia. Fino all'entrata in vigore del nuovo trattato però restano in vigore le vecchie sanzioni, che fanno ancora male. Ed è questo il principale cruccio di Monti. Perché dal monitoraggio continuo che si sta facendo, i conti pubblici non sarebbero affatto a posto. L'effetto recessivo incide naturalmente anche sul rapporto fra deficit e pil (perché lo stesso deficit diventa percentualmente più grande se il pil scende). E secondo quando gli stessi membri del governo ammettono in seminari a porte chiuse con gli investitori, Monti ha già pronto uno schema di manovra correttiva dei conti pubblici da usare a primavera inoltrata per circa 15,5 miliardi di euro. La speranza è che per quella data parte sostanziale della somma arrivi dalla spending review in atto nei vari ministeri. Se anche quella falla fosse tappata in extremis con qualche lacrima e meno sangue, se ne aprirebbe un'altra da lì a poco. I risparmi di spesa erano stati immaginati per sostituire quell'aumento dell'Iva di due punti che entrerà in vigore (dal 21 al 23%) dal primo settembre e (dal 10 al 12%) dal primo ottobre prossimo. Due misure che potrebbero spegnere i consumi, fare lievitare l'inflazione e naturalmente rendere ancora più recessiva la tendenza dell'economia italiana. Ma più di un a falla alla volta Monti non può tappare. E la navigazione resterà tempestosa. di Franco Bechis  

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