Giovanni Donzelli e il caso delle chat-FdI: "Ci saranno denunce"
"Parliamo di chat private ed è gravissimo che siano violati principi costituzionali, ribaditi anche dalla Cassazione per WhatsApp, come la segretezza della corrispondenza": il deputato di FdI Giovanni Donzelli lo ha detto in un'intervista al Corriere della Sera a proposito delle chat del partito, che in qualche modo sono state carpite e poi pubblicate in un libro del giornalista del Fatto Quotidiano, Giacomo Salvini. Quanto accaduto è "inaudito" secondo Donzelli, che infatti ha spiegato che ci saranno delle conseguenze: "Ci saranno denunce di chi si sente violato. Gravissimo e pericoloso spiare, magari anche con app vietate, un partito per anni e in modo indisturbato, e non è la prima volta che accade".
In ogni caso, a suo dire, non c'è comunque stato alcun danno di immagine: "Quando sbirciano dal buco della nostra serratura ne usciamo bene noi e male chi ci attacca". Dunque, ha spiegato: "Anche leggendo quelle chat mancanti di tante altre cose che le completavano e ne davano il contesto — cito solo ad esempio il fatto che Fazzolari raccontava del suo viaggio per portare aiuti all’Ucraina, e non ve ne è traccia —, l’immagine che viene fuori è quella di un partito trasparente in pubblico come in privato, onesto, passionale, che discute ma mai di nomine, potere, incarichi, al contrario di politica estera, energia, democrazia. Uniti e compatti, sempre, e sinceri: quello che si scriveva in privato era espresso in pubblico".
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Il responsabile nazionale dell'organizzazione di FdI, inoltre, ha chiarito che "quelle chat si riferiscono a una legislatura in cui il centrodestra era diviso, litigioso, su opposti fronti di governo, e lo era in pubblico. A volte dovettero intervenire i commessi in Parlamento per separare leghisti e noi. Proprio perché eravamo divisi ci furono pessimi governi. Da quando, dopo la caduta del governo Draghi, ci siamo ritrovati, non esiste una sola parola contro nessuno dei nostri alleati".
Infine, sul caso del generale libico Almasri: "Le cose stanno esattamente come le hanno spiegate Nordio e Piantedosi, gli errori non li abbiamo fatti noi ma la Corte che ci deve delle spiegazioni. Avremmo chiarito molto prima se un magistrato avesse almeno atteso un giorno prima di iscrivere premier e ministri nel registro degli indagati. La sicurezza nazionale è una cosa seria, non può essere gestita come se fosse una riunione di un collettivo studentesco".