Cecilia Sala ostaggio dell'Iran ma la sinistra attacca Meloni e Stati Uniti
Sono già 11 i giorni trascorsi in cella da Cecilia Sala in Iran. L’inviata, recatasi a Teheran con regolare visto giornalistico per realizzare alcuni servizi, è stata prelevata dalla sua stanza d’albergo e da allora è rinchiusa nel carcere di Evin, quello “riservato” agli oppositori politici del regime degli ayatollah. E, dopo così tanti giorni, rimane ancora ignoto il motivo dell’arresto della nostra connazionale. Nonostante sia passata oltre una settimana infatti, non sono ancora state formalizzate le accuse da parte delle autorità islamiche.
Proprio per questo sembra prendere sempre più quota l’intrigo internazionale che legherebbe il fermo della giornalista con l’arresto Mohammad Abedini-Najafabadi, l’ingegnere dei droni iraniani su cui pendeva un mandato d’arresto internazionale emesso da parte degli Stati Uniti, catturato all’aereoporto di Milano Malpensa.
In quest’ottica, assumono grande significato le parole di un portavoce del dipartimento di Stato americano. Raggiunto da Repubblica, ha confermato che sono «a conoscenza della denuncia di arresto in Iran della giornalista italiana Cecilia Sala». Il portavoce ha spiegato come «questo arresto arriva dopo che un cittadino iraniano è stato arrestato in Italia il 16 dicembre per contrabbando di componenti di droni». Una coincidenza particolare che non è sfuggita oltre oceano: «Chiediamo ancora una volta il rilascio immediato e incondizionato di tutti i prigionieri arbitrariamente detenuti in Iran senza giusta causa», ha chiosato il dirigente americano.
Secondo Washington, è ormai una prassi consolidata da parte dello Stato guidato dall’ayatollah Khamenei catturare innocenti per usarli come merce di scambio: «Il regime iraniano continua a detenere ingiustamente i cittadini di molti altri Paesi, spesso per utilizzarli come leva politica. Non c’è alcuna giustificazione per questo e dovrebbero essere rilasciati immediatamente». Intanto procedono le pratiche per l’estradizione di Abedini negli Stati Uniti dopo la formalizzazione ufficiale della richiesta. L’uomo, accusato di aver collaborato con il Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica, sarebbe fra i principali responsabili della «proliferazione da parte dell’Iran di veicoli aerei senza pilota, o droni, sempre più avanzati e letali».
Il governo italiano continua a lavorare per ottenere maggiori informazioni sulle circostanze che hanno portato all’arresto di Cecilia Sala. Non si preannunciano tempi strettissimi per un suo rilascio, mala strategia del Ministero degli Esteri è puntare sui buoni rapporti fra le due diplomazie. Ieri il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini si è detto fiducioso: «Spero nel ritorno a casa della giornalista italiana Cecilia Sala e conto che possa tornare presto dalla sua famiglia».
"Ha violato le leggi della Repubblica islamica". Cecilia Sala, ecco perché l'hanno arrestata in Iran
Da sinistra, incuranti del lavoro che sta portando avanti la Farnesina, continuano gli attacchi al governo: il monito generale è quello di “fare presto”.
La segretaria dem Elly Schlein, si era subito prodigata per ingaggiare l’esecutivo affinché mettesse «in campo ogni iniziativa utile per far luce su questa vicenda», mentre il Movimento 5 Stelle aveva esortato il ministro degli Esteri Antonio Tajani «a venire subito in Senato a riferire». E anche gli ex detenuti in Egitto e Ungheria Patrick Zaki e Ilaria Salis erano scesi in campo per la Sala.
Il Fatto Quotidiano non ha invece perso tempo ad accusare il governo di non aver messo in allerta i nostri connazionali in Iran. La “caccia all’italiano”, scattata nel Paese dopo l’arresto dell’ingegnere Abedini, era stata infatti “profetizzata” da un articolo firmato da Gabriele Carrer su Formiche.net. Ma, nonostante questo - sostiene il Fatto - i nostri connazionali non sarebbero stati allertati del potenziale pericolo. Così l’Italia, schiacciata fra le pretese Usa sull’iraniano catturato e Teheran che non accenna a indietreggiare sul rilascio dell’inviata, è costretta a barcamenarsi per trovare una soluzione. Insomma, nonostante Sala sia prigioniera della dittatura islamica, il dito viene puntato contro gli Usa.
Intanto ieri pomeriggio a Torino è andato in scena il primo sit-in per chiedere il rilascio della giornalista. Dove? Forse davanti al consolato iraniano?
No, davanti alla Prefettura della Repubblica. Una cinquantina di manifestanti, tra cui alcuni consiglieri comunali del capoluogo piemontese, si sono riuniti davanti all’ingresso principale per chiedere al governo di «intervenire con la massima urgenza per la liberazione della giornalista Cecilia Sala, detenuta in Iran». L'iniziativa è stata promossa da Associazione Marco Pannella, Associazione Adelaide Aglietta, Europa Radicale, Italia Liberale e Popolare, +Europa Torino, Donna Vita Libertà, Associazione Liberi Russi.
«Sappiamo che il governo italiano ha chiesto di non manifestare, noi invece disobbediamo, manifestiamo», ha detto Igor Boni di Europa Radicale. «Crediamo che l’ultima cosa da fare è stare in silenzio. Non siamo qui contro il governo italiano, ma gli chiediamo di fare l'impossibile», ha chiosato il radicale. Poi la grande “illuminazione”: «Se nell’immediato non ci sarà il rilascio, si dovrà organizzare una grande manifestazione di fronte ai consolati e all’ambasciata dell’Iran». Ma guarda un po’...