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Giorgia Meloni, il pericolo Russia: "La Ue si svegli e si armi"

Fausto Carioti
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L’Europa e l’Italia devono prepararsi ad anni molto diversi da quelli che hanno alle spalle: ridotto all’essenziale, il messaggio che Giorgia Meloni invia dalla Lapponia è questo. Il problema non è Donald Trump, anche se la sua elezione conferma la portata del cambiamento in atto. Il problema è la minaccia rappresentata dalla Russia, che deve costringere la Ue e i suoi ventisette Stati a cambiare priorità e modo di pensare. Non ha più senso, infatti, distinguere tra i «frugali» Paesi del Nord e gli indebitati Paesi del Sud, unici che sinora si sono preoccupati davvero per l’immigrazione irregolare. Perché quest’ultima, adesso, mette a rischio anche i Paesi dell’Europa settentrionale: è la Russia stessa a spingere migranti dal Medio Oriente oltre i confini della Finlandia, nell’intento di creare destabilizzazione politica. Perché l’espansionismo di Mosca riguarda pure l’Africa, e in questo modo minaccia gli interessi dell’Italia e degli altri Paesi mediterranei. E perché tutti gli Stati europei, frugali e non, ora sono chiamati a spendere molto di più per difendersi.

A pensarla così non è solo Meloni. A Seeriselka, in Lapponia, si sono incontrati lei, il primo ministro finlandese Petteri Orpo, il capo del governo svedese Ulf Kristersson e il premier greco Kyriakos Mitsotakis. Un vertice di “format” nuovo, due leader del nord Europa e due del sud, tutti di area centro-destra (Orpo, Kristersson e Mitsotakis appartengono alla famiglia del Ppe), assieme all’alta rappresentante Ue per la politica estera e la sicurezza, la estone Kaja Kallas. Che ha riassunto la discussione così: «Siamo stati tutti d’accordo sul fatto che l’Europa deve fare di più per difendersi e prevenire la guerra. L’anno prossimo proporremo idee a livello Ue per una maggiore cooperazione in materia di difesa, maggiori capacità e finanziamenti».

Finlandia e Svezia hanno già messo a disposizione dei loro cittadini manuali che spiegano cosa fare in caso di aggressione «straniera», ovvero russa. Quello diffuso dal governo di Stoccolma inizia con questa premessa: «I livelli di minaccia militare stanno aumentando. Dobbiamo essere preparati al peggior scenario possibile: un attacco armato alla Svezia». Una percezione che Meloni condivide. Il pericolo rappresentato dalla Russia, dice ai giornalisti quando il vertice è finito, «è molto più grande di quanto immaginiamo. Riguarda le nostre democrazie, la strumentalizzazione dell’immigrazione o quanto sta succedendo in Africa. Dobbiamo garantire la sicurezza e non si tratta solo del campo di guerra in Ucraina. Dobbiamo essere preparati».

 

Prepararsi costa. Sinora la Nato ha chiesto ai suoi Stati membri una spesa per la difesa pari al 2% del Pil. La quota italiana è pari all’1,5% (comunque più di Belgio, Spagna e Canada), ed è destinata ad aumentare. Ora si attribuisce al nuovo presidente americano, che si insedierà il 20 gennaio, la volontà di portare questa percentuale al 5%, alla quale oggi non arriva nessun Paese dell’alleanza, nemmeno gli Stati Uniti. Ma «su Trump non dovremmo seguire i rumors», commenta Meloni. A sentire le voci, infatti, Trump sarebbe stato pronto a mollare l’Ucraina al proprio destino. E invece, nota la premier, Trump ha detto che «“stiamo lavorando per la pace, ma non possiamo avere la pace abbandonando l’Ucraina”, che è all’incirca quello che ho detto io per anni». Perciò è meglio aspettare e «capire esattamente quale sia la volontà del nuovo presidente degli Stati Uniti».

Lei stessa, comunque, ammette che «sul contributo alla Nato dobbiamo fare di più». Parafrasando John F. Kennedy, dice che «non bisogna pensare a cosa l’America può fare per noi, ma a cosa noi possiamo fare per noi stessi». Molto dipenderà «dagli strumenti che riusciremo a mettere sul tavolo», ossia da un accordo europeo per finanziare gli investimenti nel comparto militare senza che siano considerati come fonte di nuovo deficit o debito. È il compito di Kaja Kallas: da lei, entro febbraio, si attende una proposta su cui i Ventisette possano concordare.

L’ottimismo di Meloni, dopo il confronto coi colleghi europei, è quello di chi sa che non ci sono alternative: occorre fare le cose che i tempi impongono di fare. «I nostri Paesi», spiega, «spesso si sono trovati su parti opposte nell’Ue, con il Nord e i cosiddetti “frugali” da una parte e le nazioni del Sud dall’altra, accusate di essere “spendaccione”, cosa che credo sia un pregiudizio. Queste nazioni sono qui ora per parlare di sicurezza, e ciò dimostra che abbiamo capito che il mondo è cambiato».

 

Un segno di questo cambiamento sono i cento uomini del contingente militare italiano schierati sul fianco orientale della Nato, nella missione Baltic Air Policing, a difesa dello spazio aereo delle repubbliche baltiche. Terminato il vertice in Finlandia, Meloni è andata a trovarli nella base di Šiauliai, in Lituania. Dove si è commossa parlando con i soldati che non potranno aprire i regali di Natale assieme ai figli, e ha voluto dedicare la sua presenza lì anche «ai tanti che si riempiono la bocca della parola “pace”, però non ricordano che la pace non è qualcosa di garantito, ma qualcosa da difendere ogni giorno, e che c’è qualcuno in prima linea a fare questo lavoro».

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