Da Ramy all'Albania, la sinistra è compatta solo contro la Polizia
Tre sono le cose certe nella vita: la morte, le tasse e la sinistra che si schiera compatta contro le forze dell’ordine ogni qualvolta la cronaca le fornisca il minimo pretesto. Tra delinquenti e polizia, del resto, i progressisti non hanno mai alcun dubbio da che parte stare: quella opposta al senso delle istituzioni e del rispetto delle regole. Compagni e sicurezza sono due rette parallele destinate a non incontrarsi mai. È un’allergia, quella per le divise, che non conosce limiti. E che, complice un governo di centrodestra in carica, si sta riacutizzando con effetti deleteri.
Per cui persino un calendario (quello della Polizia Penitenziaria) diventa terreno di gazzarra politica. Non hanno gradito, quelli del Pd, le immagini di agenti impegnati in tecniche di immobilizzazione, in tenuta antisommossa e col volto coperto ad accompagnare i dodici mesi del 2025. Hanno chiesto addirittura il ritiro del prodotto perché si scorgono manganelli e scudi. Oddio! Ma cosa si aspettavano? Forse i secondini coi guanti bianchi mentre raccolgono margherite e le porgono ai detenuti? Quando l’odio pre-confezionato verso tutto ciò che è forza utile e necessaria a garantire il rispetto della legalità travalica sul resto, però, i risultati non possono che essere questi. Sembrano cronache da Marte...
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E che dire della campagna mediatica, a base di fango e illazioni, sul caso Ramy, il 19enne egiziano morto a Milano dopo esser caduto dallo scooter guidato dall’amico tunisino in fuga dai Carabinieri? «Lo gazzella ha speronato la moto: lo hanno ucciso!». Sono bastate delle voci incontrollate su TikTok per azionare la macchina della propaganda sinistra. «Vogliamo verità!». Non un parola per difendere i militari dell’Arma che avevano agito secondo protocollo: se imponi l’alt a un veicolo e questo non lo rispetta devi inseguirlo e fermarlo. E non un parola sui precedenti penali dei due fuggitivi e del coltello, della catenina spezzata e dei mille euro trovati nelle loro tasche.
Di più: il fatto che fossero entrambi stranieri è stato un ulteriore gancio per colpire i Carabinieri al grido di «basta profilazione razziale!». E così dai social alla realtà (quella da cui sono scollegati) il passo è stato breve, anzi brevissimo, ma Pd e compagni non si sono nemmeno resi conto di aver fatto da apripista alle quarantotto ore di guerriglia urbana nella banlieue del Corvetto, tra cassonetti e masserizie date alle fiamme, petardi e bottiglie scagliati contro i celerini, autobus pubblici e pensiline devastati a sassate. Con loro, buonisti da salotto, a fare da sottofondo: «Va compreso il malessere di questi ragazzi», «Capiamo questa reazione», «Bisogna subito fare chiarezza sulla dinamica dell’incidente».
Potevano poi mancare attacchi, conditi da falsità, sui poliziotti italiani dislocati nei centri di permanenza e rimpatrio in Albania? Certo che no. Ci ha pensato Repubblica, rilanciando un servizio del programma televisivo albanese Piranjat, ad alimentare il sentimento anti-forze dell’ordine che trova grandi fan tra le file dell’intellighenzia. I nostri agenti se la spasserebbero in resort di lusso (il corrispondente di un tre stelle scarso in Italia...) e- udite udite- la sera qualcuno di loro va pure a ballare. Ma come si permettono? Un poliziotto in discoteca è una vergogna di Stato, altro che quei bravi ragazzi dei centri sociali che li assaltano a colpi di mazze e bombe carta durante i cortei...
Già, le manifestazioni. Quelle dove i serpentoni sono antifascisti e dunque legittimati a gridare e fare di tutto, persino a tentare di sfondare cordoni di polizia, perché ogni causa (dalla Palestina all’ambiente, dagli scioperi all’abolizione del 41 bis) sarà sempre più alta rispetto alla garanzia dell’ordine pubblico. L’agente che agita il manganello contro chi lo sta prendendo a bastonate o spara al folle che sta seminando il terrore in stazione con un coltello (l’episodio di ottobre a Verona) è un fascista e un razzista. Un nemico della sinistra. Che non perderà mai occasione per sfilare in piazza a braccetto di chi sputa sulle divise.
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