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Governo Renzi, ecco come Matteo e Berlusconi possono fregare Angelino Alfano

Angelino gongola per squadra e riforme: ha ottenuto il massimo, ma ora premier e Silvio hanno le armi per metterlo in scacco

Giulio Bucchi
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"Andiamo, c'è da lavorare". Così, col suo modo di fare molto brusco, alla fiorentina, il premier Matteo Renzi ha sottratto Angelino Alfano al rito delle fotografie al Quirinale, subito dopo il giuramento del nuovo governo di fronte al presidente Giorgio Napolitano. Una battuta, quella del segretario Pd, che preannuncia il clima che si respirerà nei prossimi Consigli dei ministri, il primo dei quali è andato in scena all'ora di pranzo, pochi minuti dopo il via ufficiale all'avventura. "Bisogna fare presto", è il mantra renziano. Il premier sa che, insediatosi a Palazzo Chigi con una manovra di Palazzo da antologia, ora potrà giocarsi la credibilità politica ed elettorale in un solo modo: concretizzando le riforme tanto sbandierate. Ed è proprio da quelle riforme che passa il futuro del governo, con un paradosso non da poco per Alfano e il Nuovo Centrodestra. Il successo di Angelino - Vista la composizione della squadra, Alfano aveva commentato a caldo: "Molto bene, Ncd non poteva chiedere o desiderare di più". Vero: a fronte della rinuncia alla vicepresidenza del Consiglio, Angelino aveva strappato la conferma di tre ministeri pesanti, il suo agli Interni, Maurizio Lupi alle Infrastrutture e Beatrice Lorenzin alla Sanità. Altro gol messo a segno: la parola d'onore ottenuta dal segretario Pd di non iniziare le riforme dalla legge elettorale, già in cantiere alla Camera. Il perché è presto detto: una volta approvato l'Italicum, tutti quanti i partiti sapranno che si potrà tornare alle urne. Non ci saranno, insomma, più alibi. Per questo Ncd ha chiesto di partire dalle altre riforme istituzionali, ad iniziare dall'abolizione del Senato, perché richiederebbero un anno abbondante tra messa a punto e approvazioni in Aula. Per l'Italicum, invece, potrebbero servire non più di due mesi. La differenza è sostanziale. Renzi, pur di partire col il governo, ha detto sì. Il modo per rallentare la legge elettorale si troverà: magari attendendo la formulazione dell'abolizione del Senato, oppure spostando la discussione sul post-Porcellum a Palazzo Madama. Alfano per ora può gongolare, perché il risultato incassato, manuale Cencelli in tasca, è il migliore possibile. Ma Angelino sa per primo che Ncd, pur fondamentale negli equilibri di governo e maggioranza, non avrà le spalle coperte. La strategia di Renzi - Come fatto notare a più riprese al centrosinistra (e pure al centrodestra), senza i voti di Ncd al Senato il governo Renzi non sarebbe mai potuto nascere. Dal punto di vista elettorale, il "peso" degli alfaniani è ancora tutto da registrare: ergo, Renzi non poteva permettersi di sopravvalutare l'alleato, anche per questioni di immagine. Il governo appena nato è comunque un esecutivo a forte trazione Pd e troppe concessioni al Nuovo centrodestra avrebbero fatto storcere il naso a molti al Nazareno. Secondo punto, pi importante. Renzi come detto si giocherà tutto sulle riforme. L'Italicum è il fiore all'occhiello, già dato per acquisito a gennaio. Impossibile fare aspettare mesi prima di metterlo in cassaforte, anche perché Silvio Berlusconi premerà. Cav all'attacco - Forza Italia vuole fortemente la riforma, forse anche più del premier, perché prima si andrà al voto e più alte possibilità di vincere avrà. Se in Parlamento il testo languirà, Renato Brunetta alla Camera e i suoi colleghi in Sento saranno pronti alla guerriglia. E raccogliere i malumori degli esclusi dal governo (mauriani e montiani in testa) potrebbe essere facile, con il rischio concreto che la fragile maggioranza renziana venga erosa giorno dopo giorno, votazione dopo votazione. Ma nonostante i proclami ("Dureremo fino al 2018"), è lo stesso ex Rottamatore a gradire un ritorno alle urne non troppo lontano. La sfida è semplice: o si arriva a fine legislatura, a forza di "buon governo", oppure meglio tornare al voto in un tempo ragionevole (diciamo un anno, un anno e mezzo) per capitalizzare il residuo effetto-primarie e raccogliere il frutto di qualche riforma. Partitini nel sacco - A temere il voto più o meno anticipato per ora sono solo Alfano, Mario Monti, Mario Mauro, Pierferdinando Casini: chi più chi meno, sanno che la loro forza elettorale è relativa e hanno tutti bisogno di tempo per consolidarsi, ricucire rapporti con la casa madre, decidere da che parte stare. Renzi e Berlusconi questa esigenza non ce l'hanno: al netto delle rinunce, sanno di poter giocare la loro partita dentro e fuori dal Parlamento. di Claudio Brigliadori

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