Staffetta Letta-Renzi, la mano degli Stati Uniti e l'ombra di Prodi
Napolitano al giogo della Casa Bianca. Fatto fuori Letta e incoronato Renzi. Ma il vero obiettivo è un altro...
Dietro la "staffetta" tra Enrico Letta e Matteo Renzi, come nei più classici "giochetti" della prima Repubblica, ci sarebbe la manina degli americani. Un retroscena succoso, zeppo di riferimenti e di particolari, che viene rilanciato da Dagospia. La tesi è che l'ambasciatore Usa a Roma, John Phillips, sapesse da tempo dell'ascesa del sindaco di Firenze verso Palazzo Chigi. Lo sapeva già almeno dal 21 gennaio, quando annunciando l'arrivo di Barack Obama nella Capitale, il prossimo 27 marzo, al presidente a stelle e strisce spiegava che, in veste di premier, avrebbe incontrato Renzi, e non Letta. I bene informati - Mister Phillips, fermo sostenitore di Obama (al quale ha cospicuamente finanziato la campagna elettorale), avrebbe saputo già da settimane del balletto che si sarebbe svolto attorno alla poltrona di Palazzo Chigi. Secondo Dagospia lo sapeva anche Giorgio Napolitano, che pur di non essere travolto dal crollo di Letta ha tagliato i tempi per favorire Renzi e non trovarsi in una posizione di tale debolezza da costringerlo alle dimissioni (d'altronde, Re Giorgio aveva sempre detto che se Letta avesse fallito, lui si sarebbe dimesso. Dunque, se Re Giorgio fosse rimasto totalmente fuori dai giochi per la successione alla premiership, avrebbe dovuto farsi da parte). Il mediatore - Ma la manina, dove sta? Già, perché fino a qui si è parlato di chi sapeva e di quando sapeva. Ma c'è un fattore importante: l'ambasciatore Phillips e Renzi sono in ottimi rapporti, grazie - in principio - alla mediazione di Marco Carrai, imprenditore fedelissimo del sindaco di Firenze e uomo vicinissimo a banche ed alta finanza. L'ambasciatore Phillips, inoltre - al pari di mister Obama - riteneva che il governo di Letta e Alfano fosse finito su un binario morto e che avesse perso ogni spunto positivo sin dalla presentazione della discussa legge di Stabilità. Messaggio via Corsera - Le voci sui malumori a stelle e strisce, da tempo, erano arrivate fino al Colle più alto, quello abitato da Napolitano. Washington chiedeva a Roma di darsi una mossa. Detto, fatto: Re Giorgio, lo scorso lunedì, convoca Renzi al Quirinale. Un vero colpo di scena. L'accelerazione definitiva per la staffetta. Quindi, lo scorso lunedì mattina, il Corriere della Sera pubblica le anticipazioni del libro di Alan Friedman sul "golpettino" orchestrato da Napolitano per far fuori Berlusconi e portare Mario Monti a Palazzo Chigi. Il contentino - Secondo Dagospia, dopo la pubblicazione del Corsera, Napolitano "capisce il messaggio" degli "amici amerikani". Così prende il telefono e pre-allerta Renzi, perché "così non si può andare avanti". Le elezioni, però, sono da escludersi. Napolitano si sarebbe anche spinto a suggerire a Renzi di proporre a Letta gli Esteri o il Tesoro in cambio delle dimissioni (offerta poi rispedita al mittente da Letta in persona). Dopo le consultazioni con Renzi, il martedì, il premier sale al Colle, ma Napolitano lo liquida in fretta e furia: ora, questo il sottinteso, se la devono vedere lui e Renzi. Le dimissioni - Ne segue il faccia a faccia (disatroso) di mercoledì mattina. Nel pomeriggio la conferenza stampa in cui Letta prova il colpo di coda annunciando il suo "Impegno Italia" per arrivare fino al termine della legislatura, un progetto che nessuno ha nemmeno mai considerato. Il resto è storia, a partire dalla Direzione del Pd di giovedì che, nei fatti, ha sfiduciato Letta. Dunque, ora - secondo Dagospia - quando il governo Renzi sarà nato, Napolitano, agli "amici amerikani" potrà dire di aver fatto il suo. Poi attenderà, giusto il tempo di un paio di riforme (quella elettorale) su tutte, e Re Giorgio rassegnerà le dimissioni (a ottobre? A novembre? A fine anno?). Via Napolitano dal Colle, ecco che, stando ai piani, arriverà Romano Prodi. Il motivo? Gli Stati Uniti confidano che il Mortadella possa battagliare contro lo strapotere austero imposto da Angela Merkel al Vecchio Continente. Gli italiani, invece, dalla prospettiva di avere Prodi al Colle sono già terrorizzati...