Alfano: "Farò quello che Berlusconi non è riuscito a fare"
Il leader di Ncd: "Su istituzioni, economia e riforme, i moderati più in sintonia con noi che con Forza Italia". E poi su Renzi...
«Ormai è chiaro che si sono creati tre grandi poli. Quello della contestazione, capitanato da Grillo. Quello della rottamazione, incarnato da Renzi. Noi siamo la ricostruzione: del centrodestra e dell'Italia». Eccola la vera ambizione di Angelino Alfano, uomo di governo (vicepremier e capo del Viminale) e leader di partito (il Nuovo centrodestra) da quando ha rotto con Silvio Berlusconi. Sentito il Cav, almeno per gli auguri? «Sì, è stata una telefonata molto cordiale e natalizia». Si moltiplicano gli appelli dai megafoni di FI: «Angelino torna, 'sta casa aspetta a te. Se fai cadere il governo». Che effetto le fanno le sirene forziste? «È il classico caso di ravvedimento operoso, dopo un'azione indefessa di troppi, che ha allargato il solco nel Pdl». Secondo lei, perché Berlusconi lo fa? Dai sondaggi FI vale il doppio del Ncd. «A metà settembre il Pdl era tra il 28% e il 29%. Oggi FI è al 20%. Noi siamo, secondo la gran parte dei sondaggisti, oltre il 7%. Siamo quindi la quarta forza politica del Paese, a un mese dalla nascita. E siamo sicuri che cresceremo ancora». Qual è stato il gesto di Berlusconi che l'ha ferita di più, tanto da indurla all'addio? «Tengo per me le tantissime gioie e i motivi di amarezza. Dico solo che questa mia decisione è stata dettata dall'interesse comune, perché non ho condiviso la scelta di una parte del gruppo dirigente che era diventata determinante, senza essere numericamente prevalente, e che ho capito essere diventata capace di orientare il partito su posizioni estremiste». A precise condizioni tornerebbe in FI? «Noi non siamo usciti da FI. Si è chiusa l'esperienza del Pdl e invece di aderire alla seconda FI abbiamo deciso di fondare il Ncd. Non abbiamo alcuna ragione di ripensare alle scelte che abbiamo fatto. Se una quota così importante di militanti è già passata con noi dopo solo un mese, vuol dire che c'è uno spazio elettorale che va anche oltre il Pdl. Non vedo quindi il motivo per cui dovremmo rinunciare a questo nuovo movimento che sta dando speranza a tanti cittadini. Detto questo, la struttura del centrodestra è sempre stata una coalizione, quindi l'articolazione in quattro partiti che ci ha fatto vincere in passato può tornare ad esserci». Non le converrebbe tornare col Cav prima che lui sigli un patto con Renzi e Grillo sulla legge elettorale che asfalterebbe il Ncd? «Non crediamo che ci sia una formuletta magica per annientare il Ncd e non crediamo che le leggi elettorali possano estinguere i partiti. Servono per contare i voti, non per farli arrivare». Però il leader Pd continua a considerare il Cav il suo interlocutore a destra e lui continua a lanciare appelli a Renzi sulla legge elettorale. Non si sente messo fuori gioco? «Fuori gioco sono quelli che non parteciperanno alle riforme e alle scelte del governo. Noi invece siamo decisivi per la vita del governo e per le future chance di vittoria del centrodestra. Non siamo aggirabili in nessuna delle due prospettive». Se invece dovessero ignorarvi fareste cadere il governo? «Non siamo alle minacce, ma se qualcuno ritiene di poterci creare imbarazzo proponendo cambiamenti rapidi della riforma elettorale o del bicameralismo, sappia che noi saremo quelli che spingeranno di più per realizzare queste riforme». E facendo in modo che non vi azzerino con un sistema uninominale a turno unico. «Noi giocheremo la nostra partita senza timidezza, proponendo il sistema elettorale più appetibile: il “sindaco d'Italia”». Lei continua a collocarsi nel solco del berlusconismo. Perché uno dovrebbe votare la copia quando c'è l'originale? «Perché noi realizzeremo le cose che finora non sono state realizzate e abbiamo l'entusiasmo e l'energia per farlo. E perché sulle istituzioni, sulla politica economica e sulle riforme abbiamo una posizione che oggi è più in sintonia con l'elettorato moderato di centrodestra, che ha sempre respinto ogni radicalismo». Con che argomenti pensa di fare proseliti? «Proporremo una rivoluzione: burocrazia zero. Per tre anni lo Stato deve dire: io mi fido del cittadino. L'imprenditore o il commerciante che vogliono avviare un'attività devono, nel rispetto delle leggi, poter realizzare il loro progetto mettendoci i propri soldi. Lo Stato farà un controllo successivo, non preventivo». E qual è la sua ricetta alternativa al “Job act” del segretario democratico? «Per noi il lavoro è la priorità delle priorità, che si può realizzare azzerando la burocrazia e semplificando le regole del mercato del lavoro. Proporremo una riforma che metta al centro il rapporto tra imprenditore e lavoratore, lasciando allo Stato solo i principi generali, e che abbia lo scopo di smontare la riforma Fornero». Il Pd intende fare una battaglia in favore delle unioni civili. «Non è possibile che si pensi alle unioni civili senza pensare prima alla famiglia, che è il baricentro della nostra società». Condivide lo “ius soli moderato” proposto dalla ministra Kyenge? «Siamo contrarissimi a trasformare l'Italia in un'immensa sala parto da cui si può transitare 24 ore per fare un figlio e considerarlo italiano. Siamo invece pronti a ragionare su una cittadinanza meritata attraverso un'italianità effettiva, maturata attraverso i cicli scolastici. Il principio dello ius soli è già previsto nel nostro ordinamento giuridico, quindi parlare di una sua introduzione è un errore tecnico». Quindi lei non è per il superamento della Bossi-Fini? «Noi siamo un popolo accogliente, ma non possiamo accogliere tutti. C'è già una grande difficoltà ad assicurare un futuro ai nostri ragazzi, per poter dire con faciloneria: venite in Italia, non c'è nessun problema. E poi c'è la grande questione della sicurezza degli italiani sulla quale non consentiremo a nessuno di scherzare». Non teme il carisma di Renzi? «Aver fondato un movimento che in soli 40 giorni è diventato la quarta forza politica del Paese la dice lunga sulla capacità che ha avuto la nostra squadra a livello nazionale e territoriale di apparire credibile sugli ideali e sul progetto». Il sindaco di Firenze dice con orgoglio di non aver niente in comune con lei e Letta e anche di non voler fare accordi con voi. «Ognuno si tiene stretta la propria biografia. Con il Pd noi non abbiamo alcun'alleanza strategica, quindi non dobbiamo avere qualcosa in comune come due che debbono sposarsi. In comune abbiamo solo il 2014 e io continuo a sperare che siamo tutti orientati a fare il bene dell'Italia. Per noi questo vuol dire: creare posti di lavoro, fare una legge elettorale che riavvicini i cittadini alla politica e una riforma delle istituzioni che le renda più efficienti. E qui sta la nostra proposta: firmiamo il contratto di governo, scriviamo le regole e nel 2015 torneremo a dividerci». Non le rode che lei e Letta siate meno legittimati democraticamente del Rottamatore, già forte di un mandato popolare di quasi 3 milioni di voti? «Se lui intende spendere questo mandato per far cadere il governo, è liberissimo di farlo. Per usare un'espressione di Renzi, l'importante non è vincere le primarie, ma le secondarie. Se queste si terranno nel 2015, vedremo se vincerà la sinistra o se, come io penso, il centrodestra». Per Renzi, o cambia musica o si va al voto. «Non abbiamo paura di governare prendendocene il peso né di tornare a votare, con l'entusiasmo che percepiamo in giro nei nostri confronti. Il nostro sito è ogni giorno subissato dalle richieste di creazione di nuovi circoli sul territorio e abbiamo con noi già migliaia di amministratori. Io credo che Renzi legittimamente ambisca a realizzare molte cose da qui a maggio per aver un buon risultato del Pd alle Europee. Guarda caso, è lo stesso nostro obiettivo: dimostrare di essere capaci di fare e di ottenere consenso su ideali e valori di centrodestra e su ciò che ha realizzato il governo con la nostra partecipazione. I risultati si vedono già: anche secondo la Cgia di Mestre, le tasse sono calate nel 2013, e quest'anno la Borsa è cresciuta del 16% e lo spread è calato di 100 punti». Ma il segretario del Pd le rinfaccia la nomina di 17 nuovi prefetti. Non ne potevate fare a meno? «Non se ne nominavano da due anni e sono quelli previsti dalla legge, nulla di più. Renzi fa il fenomeno sui prefetti, ma il Pd non paga l'Imu sugli immobili. Credo che si risparmierebbe di più così piuttosto che prendendosela con i prefetti, che sono un presidio di legalità e servono ad assicurare il funzionamento dello Stato». Ufficialmente Renzi dice di non voler rimpasti. Non teme che possa esigere da Letta un ridimensionamento del Ncd al governo? «Il problema delle sedie finora non l'ha posto nessuno e non lo consideriamo un tema drammatico. Qui c'è da stabilire quali sono le priorità del governo. Non so se per il Pd sono immigrati e rimpasto. Di certo per noi sono lavoro, imprese e famiglia». Non crede che sarebbe più nobile e conveniente che lasciasse lei il governo dedicandosi seriamente al suo nuovo partito? «Il partito sarà rafforzato se il governo farà bene. Anche perché una delle ragioni della separazione da FI è stata la scelta di non far precipitare il Paese verso una crisi al buio facendo cadere il governo, come proponevano radicali ed estremisti. Del resto, svolgo un mestiere scomodo nel quale gli onori sono senz'altro meno degli oneri, le fatiche superiori agli allori». di Barbara Romano