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Quirinale, torna l'ipotesi Prodi

Romano Prodi

Le tensioni tra Napolitano e Letta riaccendono le ipotesi di dimissioni di Re Giorgio. E così rispunta il nome dell'eterno candidato Romano

Andrea Tempestini
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Come ha detto poco più di un mesetto fa lo scudiero Arturo Parisi, Romano Prodi «va ridislocando la sua passione civile su un orizzonte diverso dalla politica nazionale». Lo ripeterebbe, magari con altre perifrasi, lo stesso Professore. Ci sono però alcuni aspetti che lasciano intravvedere «ridislocazioni» diverse, diciamo più prossime a quell'orizzonte. Bisogna unire qualche puntino per intuire uno scenario che l'ex premier ovviamente smentirebbe: come aveva smentito di essere in Lizza per il Quirinale ad aprile. Il primo, più fresco «puntino», è la grande attività «prodiana» che molti osservatori scorgono su Siena. Come spiega Claudio Antonelli (pag. 21), c'è un disegno che punta a mantenere un controllo politico sul Monte dei Paschi, al quale non sono estranei uomini legati al 74enne politico di Scandiano. Il secondo aspetto è il quadro che si è aperto tra l'uscita di Forza Italia dalla maggioranza (26 novembre) e lo sberlone di Napolitano a Letta sulla cosiddetta salva-Roma (24 dicembre), con la surreale cancellazione di un decreto su cui il governo aveva appena incassato la fiducia. In mezzo, un ciclone a nome Renzi, che con le primarie dell'8 dicembre ha imposto la sua leadership nel Pd e cominciato a stuzzicare l'esecutivo. Che c'entra Prodi?  Il Professore è tornato a farsi vivo con un simpatico balletto proprio a ridosso delle consultazioni che hanno incoronato il sindaco di Firenze. Ancora scottato dallo psicodramma dei «101» del Pd che lo avevano impallinato sulla strada del Colle ad aprile facendolo tornare a vuoto dal Mali, l'ex premier il 9 novembre aveva scandito: «Non voterò alle primarie: non per polemica, ma ho deciso di ritirarmi dalla vita politica. Non sono un uomo qualunque, se voto alle primarie devo dire per chi, come e in che modo». Quattro settimane e una sentenza della Consulta dopo, Romano spiega: «Voterò alle primarie perché il bipolarismo è a rischio. La recente sentenza della Corte mi obbliga a ripensare a decisioni prese in precedenza. Tornerò dall'estero e mi metterò in coda con tanti desiderosi di cambiamento». Che la partecipazione ai gazebo possa non esser stata del tutto disinteressata lo dimostrebbero i rapporti ottimi intercorsi tra i renziani e gli uomini del Professore proprio a ridosso delle primarie. Non è dato sapere quale sia stata la scelta finale di Prodi, ma è difficile che non abbia voluto «vendicare» lo sgarbo di aprile punendo il candidato d'apparato Cuperlo. Dunque Renzi (che ha avuto l'endorsement di Parisi) o Civati (votato dalla fedelissima Sandra Zampa)? Comunque abbia deciso, una scelta non a favore delle larghe intese, né della stabilità. Il motivo è facilmente intuibile: la «resistenza» di Letta è la resistenza del Colle. I recenti malumori quirinalizi sul salva-Roma sono stati letti come spia di una fortissima delusione di Napolitano per le sorti del «suo» governo di «pacificazione nazionale», azzoppato dall'uscita di Berlusconi e dalla scarsissima incisività dei provvedimenti dell'esecutivo. Tanto che il capo di Stato potrebbe mettere una volta di più sul piatto le proprie dimissioni per dare l'ultimatum a Letta. E se poi saltasse davvero tutto causa sfarinamento sotto i colpi di Matteo, Cav e Grillo? Lo scenario che si aprirebbe è tipo Cossiga 1992: Quirinale affidato al presidente del Senato Pietro Grasso, probabile rielezione prima dello scioglimento delle Camere, Pd (cioè Renzi) a fare da kingmaker. E un amico di nome Romano cui dire grazie. di Martino Cervo

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