Fontana, il doroteo aguzzo che moralizzò la Dc
Ripubblicati i saggi dell'ex ministro e intellettuale scomparso da poco, l'unico sfuggito a TangentopoliAllievo di Salvemini, critico coi vertici del Partito, poteva diventare un grande presidente della Rai
«Vedrai che la Lega esploderà e imploderà…». Aveva ragione. La Lega, il Berlusca e il futuro del centrodestra erano i suoi chiodi fissi. C'era qualcosa di titanico, in quel prof di storia, pacato, piccolo di statura, che s'accendeva all'improvviso quando disegnava scenari di politica, di democrazia, di federalismo. Poi, magari, con la stessa passione parlava del suo orto, e delle galline che vi razzolavano come quelle di Soffici raccontate da Montanelli. Me lo vedo ancora davanti, Sandro Fontana. Mentre ti spiegava il futuro della «questione settentrionale» - forte della frequentazione del suo maestro quel Gaetano Salvemini teorico, invece, della «questione meridionale »-: la voce gli tuonava, le manone roetavano come quelle d'un direttore d'orchestra; e se ne incrociavi lo sguardo, dentro ci vedevi quel che Garcia Lorca chiamava el duende (il demone sottopelle, l'esplosione di un'energia inquieta che ti fa entrare in empatia assoluta coi tuoi interlocutori, e non te ne scordi più). Sandro Fontana ex vicesegretario della Dc, già ministro, docente di Storia Contemporanea, scomparso da qualche giorno a 77 anni, oltre ad essere un illustre collaboratore di questo giornale, era un amico. Ed è difficilissimo pensare ad un amico al passato remoto. Emi farà una stranaimpressione sfogliare ancora alcuni dei suoi libri, tipo La grande menzogna. Come una minoranza è arrivata al potere oLa riscossa dei lombardi, che Marsilio e Mondadori pare vogliano rimandare in stampa (in un primo momento in versione ebook). Tra l'altro, me l'immagino, oggi, Sandrùn, il doroteo meno felpato del mondo, con la penna acuminata di un Fortebraccio, ironizzare sul nuovo Pd di Renzi e Letta, democristiani geneticamente modificati tesi a guidare un'Italia sguarnita di speranze e una sinistra sguarnita di comunisti. Proprio nella Grande menzogna Sandro non si capacitava di come la «sinistra italiana» pur non superando il 30-35 per cento circa di consensi fosse riuscita nel '96 a conquistare il governo del paese, dopo la distruzione, per via giudiziaria, dei partiti che detenevano con le elezioni del '92 la maggioranza del Parlamento e la sostituzione, per via plebiscitaria, della legge elettorale. Sandro Fontanaera tante cose. Era uno dei famosi esponenti di quella Brescia cattolica dedita al sussurro, che ancora pensavano all'etica comeunatout; eche ritenevano che gli eletti dovessero essere moralmente superiori ai propri elettori. Giampaolo Pansa lo chiamava «la piccola vedetta lombarda », per la sua abitudine di precedere i discorsi del segretario Ciriaco De Mita, con cui ovviamente entrò in scontro dopo qualche anno di milianza agli altissimi vertici. Ex giornalista sovversivo sulle colonne bresciane di Provincia democratica e poi –da direttore del Popolo con lo pseudonimo di «Bertoldo, il contadino che dice sempre la verità »- Sandro era un intellettuale raffinatissimo con l'approccio allegro di un personaggio di Guareschi. Era di un'onestà imbarazzante. L'unico Dc, nella tempesta del '92, sopravvissuto a Tangentopoli; l'unico politico cattolico sodale di Carlo Donat Cattin, irritato al tal punto col suo partito da fondarne un altro, il Ccd di Casini, col quale naturalmente litigò a sua volta. E ogni volta che si muoveva nella politica politicata, Sandrùn era un elefante in cristalleria. Da assessore alla Cultura della Regione Lombardia venne accusato di «finanziamenti a pioggia» per le biblioteche; ma è grazie a lui che la rete di biblioteche nel bresciano conta oggi 188 sedi e 886mila volumi. Da Ministro dell'Università, Ricerca Scientifica e Tecnologica nel primo governo Amato ebbe tempo di inimicarsi i baroni accademici. Da europarlamentare era sempre in contatto con Silvio Berlusconi, ma era (ovvio) malvisto dai berlusconiani. Ci fu un periodo, credo fosse nel 2002, in cui il Cavaliere si consigliava quotidianamente con quel salace professore di provincia; lo chiamava due-tre volte al giorno nella sua villa bresciana per chiedere consiglio, pregandolo perfino di candidarsi alla Presidenza della Rai, giusto per dare alla tv di Stato, allora voracemente in mano al centrodestra, un indirizzo almeno morale. Non se ne fece nulla; viale Mazzini fu colonizzata da An e ancora oggi se ne avvertono gli strascichi. Io, delle telefonate segrete dell'allora presidente del Consiglio a Fontana, sapevo tutto nei particolari; ma rodevo del fatto di non poterne scrivere per via di una promessa fatta alla figlia di Sandro, Angelica. Prima che una psoriasi invincibile e la setticemia lo ghermissero («Questione psicosomatica: mi sono ammalato da quando è crollata la Dc», battuteggiava, pure se l'ultima Dc di Martinazzoli non gli stava particolarmente a cuore), Sandro io l'avevo sentito spesso, ora per cazzeggiare di gossip parlamentari, ora per giovarmi dei suoi consigli da buon padre di famiglia. L'uomo era in grado di dispensare pillole di saggezza su qualsiasi argomento. Aveva una famiglia splendida: la moglie Lina, altoborghese di ascendenza Wurher, le figlie Angi e Benedetta che se lo coccolavano come fosse Homer coccolato da Margie, Bart e Lisa nei cartoons dei Simpson. È un peccato che uno dei due giornali di centrodestra milanese per i quali scriveva (non questo giornale…) alla sua scomparsa, abbia definito solamente «cognato di Giovanni Bazoli»- ma era Bazoli ad essere cognato di Fontana- una delle menti politiche più aguzze della sua generazione. Scriveva Sandrùn: «Una regola sancisce che in politica vincono alla fine coloro che sanno anteporre la strategia alla tattica e che posseggono un preciso disegno ricavato da valori che trascendono le pur necessarie manovre contingenti». Credeva, insomma, che in politica le persone perbene fosse la maggioranza silenziosa. Quella stessa maggioranza che ha affollato il suo funerale. Ci mancherà molto. di Francesco Specchia