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Facci: le invidie di chi è rimasto fuori bersaniani e travaglini rosicano

Lucia Esposito
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Peggio che essere biliosi o invidiosi c'è solo il sembrarlo: ma questo non significa che la diessina Chiara Geloni e il collega Andrea Scanzi siano realmente biliosi o peggio invidiosi di Marianna Madia e di Francesco Nicodemo, neo eletti nella squadra di Matteo Renzi. Però, diciamo così, il terrore dell'ineleganza non li attanaglia. Non state capendo niente? Allora riassumiamo. Chiara Geloni è un'ortodossa bersaniana già direttrice della rossa Youdem, Marianna Madia è una parlamentare diessina di pensiero debole e volatile, Andrea Scanzi è un brillantoide del Fatto Quotidiano incapace di mascherare l'egotismo suo e di una generazione, Francesco Nicodemo è un semi-politico dalla biografia evanescente come accade a chiunque si occupi di «comunicazione». Tratti comuni: sono tutti 30-40enni e qualsiasi cosa siano - anche niente - lo sono diventati molto in fretta, come succede nell'era del Porcellum e del presenzialismo mediatico usa e getta. Nota personale: Geloni e Madia in pratica non le conosco, Scanzi lo conosco e lo giudico bravo e cattivo come lo sono gli ipersensibili, Nicodemo l'ho conosciuto una notte a Perugia in cui era discretamente alticcio.  Tesi del presente articolo: Geloni e Scanzi rischiano di diventare archetipi di una generazione troppo individualista che si compiace nel fregare il vicino di banco o comunque di azzannarlo per professione. Seconda tesi dell'articolo: i citati rischiano di non capire che il ridicolo è dietro l'angolo.   Cominciamo dalla Geloni. In un'intervista a Repubblica ha accusato la collega di partito Marianna Madia, neo responsabile renziana per le politiche del lavoro, d'esser passata da una casacca a un'altra: veltroniana, dalemiana, lettiana, bersaniana e infine renziana. Il che, a ben vedere, è vero. Dico «a ben vedere» perché le conversioni di Marianna Madia  non sono conosciute come trasmutazioni politiche eclatanti, clamorosi salti della quaglia, il carro dei vincitori eccetera: sono fisiologie da nominati, da barchette di carta nell'oceano nella politica, sembra che si muovano ma è l'onda che le porta. Se invece avesse scelto uno stile più osservante, da «donna di Bersani» imposta alla direzione di Youdem (la web tv del partito) il discorso sarebbe stato diverso, più notevole. Ma siccome notevole non è - della citata trasmutazione non frega niente a nessuno - il rischio che le accuse della Geloni possano sembrare l'astio di chi non ha cambiato carro per coerenza, certo, ma anche perché nessuno le ha chiesto di salirci. Vuole sapere come è  mediamente suonata la sua intervista? Ecco: «Non è che mi sento tradita perché la Madia non è più bersaniana». E invece sì. «Faccio le mie scelte e non metto in discussione il diritto di un altro di fare le sue». E invece sì. «Mi chiedo quale messaggio riceve un elettore come me». Il messaggio è che a Chiara Geloni nessuno ha proposto niente. «Un parlamentare deve voltarsi indietro e guardare in faccia le persone che l'hanno votato». A conoscerle: c'è il Porcellum. «C'è sempre una corsa a salire sul carro del vincitore, non mi scandalizzo». E invece sì. Solo che alla Geloni nessuno ha chiesto di salire su nessun carro, appunto, com'è in parte normale perché lei in passato questo carro lo combatteva; alla Madia invece hanno chiesto di salire, perché è più inoffensiva e paracula. Funziona così: spettabile Geloni, è il caso di passare per risentita, rimasta a bocca asciutta?   Ora passiamo a Scanzi-Nicodemo. È semplice: Nicodemo - appena nominato responsabile della comunicazione renziana - in passato ha scritto male di Scanzi e di Travaglio, ed ecco allora che Scanzi si è sentito libero di massacrarlo: ha parlato della nomina di Nicodemo come «il più grande autogol di Matteo Renzi» e tutto può essere, magari Nicodemo è una piaga d'Egitto: solo che le motivazioni di Scanzi sono ridicole. La colpa maggiore di Nicodemo sarebbe quella di «insultare e dileggiare tutti quei giornalisti che osano criticare Renzi», come se Scanzi non si fosse fatto largo anche insultando e dileggiando a sua volta e come se non scrivesse su un giornale che l'insulto e il dileggio, forse, un paio di volte l'ha sperimentato. Vero è che Scanzi e Travaglio non sono responsabili della comunicazione di un partito: detto questo, vogliamo parlare dei responsabili della comunicazione dei Cinque Stelle, partito che il Fatto sostiene apertamente? Vogliamo andare a vedere, cioè, che cosa scrivevano e scrivono? Ce n'è uno che in passato parlava sempre di mafia e di «banda del Quirinale»: il che non è grave come aver scritto contro Scanzi e Travaglio, ovvio, ma è sempre interessante. Scanzi tuttavia preferisce soffermarsi su Nicodemo che «testimonia un'idea squadrista e fascista di informazione. Una roba tipo: “O stai con me, o ti prendo per il culo, ti attacco e ti diffamo”». Uhm. Ricorda qualcosa. Infine Scanzi spara il colpo mortale: «Se Nicodemo resta al suo posto, vuol dire che il Pd di Renzi è prossimo al fascismo come concezione della libertà di stampa». Una critica moderata che probabilmente coglierà nel segno: ora sappiamo che Nicodemo sarà più inamovibile del massiccio del Karakorum, sta stappando champagne assieme a quella trottola di una Marianna Madia. Ma il punto non è neanche tanto questo, e neppure la violenza di «insulti e dileggi» che Scanzi rivolge contro Nicodemo: brutto, mezzo balbuziente, grafomane, stalker, forse tinto, magari impotente, dileggiatore seriale e via così. Il punto è che a una lettura superficiale dell'articolo di Scanzi - che è la lettura oggigiorno ricorrente, sorry - rimane questo: Nicodemo ha parlato male di Scanzi e di Travaglio e allora Scanzi lo massacra, fine, e spiega che si deve dimettere, e ci lascia un elegante quadretto di cannibalismo generazionale che spiega tante cose ma che soprattutto - diversamente da una volta, signora mia - è un genere di panno sporco che nessuno lava più in casa. Filippo Facci

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