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Tra Renzi e la gloria c'è una condizione: l'intesa con Berlusconi

Renzi e Berlusconi

Giulio Bucchi
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Anche se è l'argomento più ostico, noioso e meno popolare che ci sia, fra Matteo Renzi e i suoi sogni di grandezza c'è la legge elettorale. Nella sua corsa il nuovo segretario del Pd è riuscito a travolgere inaspettatamente ogni ostacolo, spazzando via gruppi dirigenti, resistenze e trappole che erano state seminate con pazienza e presunta furbizia per settimane e mesi. In nemmeno 24 ore ha ridisegnato il gruppo dirigente del Partito democratico, sia sotto il profilo anagrafico che sul piano politico-culturale. È  evidente che lo schiacciasassi di Firenze ora punta su Palazzo Chigi. Non importa che lo dica o meno, e a dire il vero l'ha lasciato trasparire anche nelle reazioni a caldo dopo, la vittoria. Se Renzi ha polverizzato il gruppo dirigente del solo partito esistente che ancora piantava saldamente le sue radici nella prima Repubblica (e perfino nel muro di Berlino), quel risultato plebiscitario è originato da un desiderio profondo di cambiamento. Per quanto sia evidente il tentativo di circoscrivere quel vento alla banale rottamazione di una classe dirigente (Renzi iniziò così, ma quella classe era già stata rottamata nei fatti), il desiderio di cambiamento e rottura degli elettori è diretto verso le politiche di questi ultimi due anni assai più che verso una banale sostituzione di caselle interne. Agli elettori di sinistra come a quelli di destra non va più giù alcun governissimo in alcuna delle forme escogitate in questo tempo, e il desiderio di cambiamento punta inevitabilmente su Palazzo Chigi. Inciucio indigeribile - L'unione destra-sinistra ormai è indigeribile ai più, come lo è il succedersi di premier con le mani legate a doppio filo da Angela Merkel e dai burocrati dell'Unione europea. Sotto questo profilo ormai sono impercettibili le differenze fra il governo di Mario Monti e quello di Enrico Letta. È  lì che punta il desiderio di cambiamento che ha portato Renzi alla segreteria del Pd con quelle percentuali bulgare che si sono viste domenica sera. Fra Renzi e l'ambita poltrona di Letta resta però il fossato della legge elettorale. Fosse stato in vigore ancora il Porcellum, già ieri mattina Letta avrebbe ricevuto l'avviso di sfratto, e la schiacciasassi di Renzi avrebbe puntato sulla sua poltrona. La sentenza della Corte Costituzionale ha ovviamente complicato le cose: se si precipitasse verso la crisi utilizzando la legge riscritta dai quindici giudici supremi, non vincerebbe nessuno, perché con il proporzionale puro bisognerebbe raggiungere il 51% dei voti per avere una maggioranza numerica formale, con numeri però così risicati da potere entrare in crisi al primo stormire di fronde. Se l'interesse di Renzi è quindi quello di fare approvare il più in fretta possibile una legge maggioritaria in grado di offrire una vittoria certa a qualcuno dopo il voto, l'interesse di Letta e dei suoi alleati di governo (come Angelino Alfano) è l'esatto opposto: allungare i tempi, rendere impossibile una soluzione rapida, intorcigliare la discussione, restare a Palazzo Chigi fino al 2015.  Ieri l'asfaltatore e il possibile asfaltato si sono visti a Palazzo Chigi. Uno scarno comunicato poi ha provato a celebrare il matrimonio più contro natura che ci possa essere: quello fra Renzi-schiacciasassi e Letta il Temporeggiatore. Ma la liturgia prevedeva quel copione, e apparentemente è stato rispettato. Per uno po' ciascuno continuerà a recitare la sua messa: Renzi lì a riscrivere il programma di governo, Letta a dire che lui stesso lo stava per riscrivere, e che se fino ad ora le cose non erano andate al massimo, la colpa era tutta dei ricatti di Silvio Berlusconi e dei suoi… Una Messa così non può essere infinita. Più dei tre quarti degli italiani oggi hanno già staccato la spina dal governo in carica. Beppe Grillo, la Lega.  Berlusconi e da ieri perfino Nichi Vendola (novità non  da poco) si sono detti pronti a un accordo sulla legge elettorale pur di mettere fine all'equivoco politico di quest'ultimo anno e ridare una parola vera agli elettori. Non sono la maggioranza in Parlamento, ma i segnali che vengono dalle primarie Pd dicono che quello è lo stesso vento che ha portato Renzi al posto di Guglielmo Epifani. Non vedere quello che accade sarebbe follia, e il cambiamento stesso promesso da Renzi resterebbe lettera morta, solo un falso slogan lanciato nel vento fatuo delle primarie di partito. Liturgie obbligate - Tutto fa pensare che al di là delle liturgie obbligate, Renzi abbia già impugnato il forcone, e che la punta sia ben rivolta verso le poltrone di governo. Un governo indigesto anche alla gran parte della nuova squadra dirigente del Pd. Basta rileggere gli scritti sulla legge di stabilità del nuovo responsabile economico del partito, Filippo Taddei (che fino a qualche giorno prima affiancava Pippo Civati). «C'è un equivoco sul termine stabilità. Quel che serve a questo Paese è la riduzione dell'incertezza attraverso scelte di governo chiare e durature. Possiamo avere un governo stabile e mantenere una politica incerta e incoerente. Il dibattito intorno alle leggi finanziarie è sempre caotico, ma questo non è il momento per questi rituali e questo non è il governo per gestirli...». Tombale, come l'avviso di sfratto lanciato subito dopo: «Letta e Alfano possono usare la legge di stabilità per procrastinare la fine del governo. Non è più ovvio che gli investitori internazionali continueranno ad avere pazienza. Soprattutto non è chiaro che la pazienza la mantengano gli italiani». Forconi puntati. Il preavviso di sfratto è stato notificato… Serve solo quella pratica noiosa che si può sbrigare in poche settimane: una legge elettorale. Sarà lì la vera prova del nove di Renzi.  di Franco Bechis  

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