Giordano: Prof, nani e ballerine snobbano il Pd
Gli intellettuali mollano il partito e disertano in massa le primarie: ecco chi andrà a votare e chi no
E Fiorella Mannoia? Che fa Fiorella Mannoia? Vota oppure no? Il grande dilemma scuote la più triste vigilia di primarie Pd che si ricordi. Tutti lì intenti ad aumentare il carniere delle defezioni: Claudio Magris è andato in Albania, Umberto Eco non pervenuto, Camusso resta a casa, Ligabue (già consigliere comunale del partito) ora è deluso, Paolo Virzì si sente tradito, Andrea Purgatori medita la rinuncia («E sarebbe la prima volta»), Francesco Piccolo dice che è questo voto «è sbagliato», Franco Battiato getta la spugna, Antonello Venditti e Francesco Guccini prendono le distanze, Francesco De Gregori non vuol neppure essere chiamato in causa e Massimo Cacciari dice che lui non ci ha capito nulla. E se non ci ha capito lui, andiamo bene. Ma forse la verità non è così complicata: «Le primarie sono deprimenti», sentenzia Renato Zero. Come dargli torto? Più del filosofo, poté un sorcino. Quella che fu una grande festa si riduce a un mesto rito, banchieri e cantautori che facevano a gara per mettersi in fila ora si nascondono dietro impegni improvvisi, dimenticanze, latitanze, cambiamenti d'umore. Fiorella Mannoia che cosa fa? In certi pomeriggi ci si attacca a tutto. Anche a Fiorella Mannoia. Del resto c'è poco da essere felici. Alessandro Profumo (Mps)? Non si sa. Pietro Modiano (ex Banca Intesa)? Forse declina. Corrado Passera? Scordatevelo. Oggi danno buca anche Riccardo Illy e Silvio Sircana, per dire. C'è bisogno di aggiungere altro? E non può certo essere di buon auspicio, per lo stato maggiore del Pd, il fatto che vada a votare Massimo Coppola, il conduttore di Masterpiece, programma radical-chic di Raitre. L'audience delle primarie, infatti, rischia di scendere in basso come quello del programma… Certo: al Pd restano Sabrina Ferilli e Romano Prodi. Una bella coppia. La prima è granitica nella sua certezza. Il secondo un po' meno. Fino a qualche giorno fa, infatti, il Professore sembrava pronto a ritirarsi a vita privata, ora invece torna in campo. La motivazione ufficiale è che lui vota alle primarie per salvare il bipolarismo. Vi pare? Dire che si vota alle primarie per salvare il bipolarismo è un po' come dire che si va all'assemblea di condominio per difendere la pace nel mondo. Pare che la vera motivazione di Prodi, invece, sia il Quirinale: Il Professore non ha smesso di pensarci, continua a contare fino a 101 tutte le sere, prima di addormentarsi, e non si dà pace di non essere lì, al posto di Napolitano, a far grondare la sua nota bonomia dagli artigli di tutti i corazzieri… Ferilli e Prodi , dunque: di tanto vippume questo (e poco altro) resta. Roba da intristirsi, di sicuro. Anche perché i protagonisti della competizione non aiutano certo a risollevare gli animi: Cuperlo, Renzi e Civati, il lungo il corto e il pacioccone, il Trio Malinconia, sono stati protagonisti di una delle campagne elettorali più mosce che la storia ricordi. «Sono un po' stanchino», ha detto il buon Cuperlo l'altro giorno, facendo il verso a Forrest Gump. Ma se è stanco lui di parlare, figurarsi quanto sono stanchi di ascoltarlo i militanti-votanti. Nel 2009 andarono alle urne in 3 milioni, nel 2012 2 milioni e ottocentomila, ora già si parla di meno di 2 milioni, forse addirittura un milione e mezzo o anche meno. «Io voto perché», diceva la campagna pubblicitaria Pd. Già: io voto perché? Dei tre milioni del 2009, almeno la metà non ha trovato una risposta adeguata, evidentemente. A farne le spese, alla fine potrebbe essere proprio il presunto vincitore, il matador annunciato, colui che doveva espugnare il partito per espugnare il Paese. Matteo Renzi, ma sì, proprio lui, che fino a poco tempo fa sembrava lanciatissimo verso il trionfo assoluto e invece adesso rischia di andare a schiantarsi. La vittoria con un milione e mezzo di voti (e con percentuali meno bulgare del previsto) lo ammaccherebbe assai. La sua forza d'urto risulterebbe ridimensionata. E se le elezioni dovessero slittare al 2015, anche in virtù della sentenza anti-Porcellum che di fatto rende necessaria una riforma elettorale, beh Renzie dovrebbe togliersi il giubbotto di Fonzie e soprattutto dimenticare gli Happy Days: fallita la guerra lampo per Palazzo Chigi, si troverebbe impantanato nelle trincee del Partito democratico, in un territorio a lui ostile e per un periodo troppo lungo. Nuovi nemici e vecchi marpioni avrebbero tutto il tempo di cuocerlo a fuoco lento. Povero Matteo: mentre lui è lì, tutto intento a chiedersi chi va e chi non va al seggio, non si rende conto il problema non è se oggi arriva per lui la Mannoia. Piuttosto, se domani arriva per lui la mannaia. di Mario Giordano