Cerca
Cerca
+

"Il ricatto del Pd a mia moglie Cécile"Parla Domenico Grispino, marito della Kyenge

Esplora:

Il marito del ministro: "Le hanno fatto firmare un impegno a restituire 34mila euro di spese elettorali, ma la campagna l'ho pagata tutta io"

Ignazio Stagno
  • a
  • a
  • a

«Non mi faccia separare da mia moglie. Cerchiamo di restare amici». Domenico Grispino, 59 anni, «ingegnere di campagna» dai capelli brizzolati e gli occhi azzurrissimi, è il marito del ministro dell'Integrazione Cécile Kyenge. Noi, certo, non lo vogliamo allontanare dalla sua signora. Ma certo, in questa intervista, un po' di impegno per far divorziare la consorte dal «suo» Partito democratico, ce lo mette lui, Zibi Zibrov, come è soprannominato nella sua Modena. Ex musicista (si è esibito insieme con Pierangelo Bertoli e Vasco Rossi) ed ex judoka, è un uomo dai modi diretti, quasi inaspettati. Guarda la Kyenge nel suo villaggio ll video su Liberotv Lei è innamorato dell'Africa e degli africani, ma dicono che sia leghista.  «Una volta ho votato un leghista, una brava persona, alle elezioni regionali. Si chiama Menani». Vasco Errani, il presidente Pd della regione Emilia Romagna? «Errani no, per l'amor di Dio. ME-NA-NI. Ma non ho messo la croce sul simbolo, anche se non ho niente contro la Lega. Mi piacevano alcune cose che dicevano prima che venissero smascherate certe porcate che hanno fatto. Stimo il sindaco di Verona Flavio Tosi, gliel'ho anche detto quando l'ho conosciuto. In fondo nella Lega sono quasi tutti ex comunisti, gran parte della base del Pci è passata con loro. I democratici invece non sanno più neanche con chi fare le feste. Neppure io sto con il Pd. Io sono di sinistra-sinistra. Li ho votati solo perché hanno candidato mia moglie. Le sembra un partito di sinistra quello? Matteo Renzi le sembra un politico di sinistra? Per favore». Non pare avere un alto concetto della politica. «Mangiano tutti. Destra e sinistra. Non si salva nessuno. A parte mia moglie, che è una persona perbene e avrebbe fatto meglio a continuare a fare il medico, professione in cui è bravissima. Io ho scritto a Beppe Grillo sa? Gli ho detto: io, se non fossi costretto a dimezzarmi lo stipendio, sarei pronto a scendere in campo. Non mi ha neppure risposto. Così in Parlamento ci vanno quelli che guadagnano meno di 2.500 euro o i disoccupati. Delle scamorze. Ma là servono i migliori e non i somari». Viste tutte le polemiche che accompagnano Cécile, non teme che possano chiederle di dimettersi come hanno fatto con Josefa Idem? «Pensa davvero che la Idem l'abbiano fatta dimettere per tremila euro di Ici? Da qualche giorno parlava di Dico, unioni di fatto. E questo non è piaciuto ai cattolici del partito. Il resto lo ha fatto Enrico Letta. E comunque su mia moglie che polemiche ci sono? Quelle sul fatto che è nera?»  No, per esempio quelle sulla vostra onlus Dawa. Un argomento di cui sua moglie non vuole parlare. «Perché è mal consigliata. Il suo addetto stampa le è stato imposto dal partito. Era quello dell'ex ministro Cesare Damiano. Il Pd piazza in giro tutti quelli che non riesce a mantenere. Nei gabinetti dei ministeri girano sempre gli stessi nomi con tutti i governi. Mi può spiegare perché un ministro non si può fare la squadra attraverso un concorso pubblico?». Ma perché sua moglie non risponde alle domande? «È colpa del clima che c'è nell'entourage. Sono tutti  pronti a farti lo sgambetto. E in pochi hanno festeggiato quando è stata eletta». È la politica... «È una politica di merda». Dawa è stata un trampolino politico per sua moglie? «Io non credo. La sua fortuna è che Livia Turco l'ha segnalata a Pier Luigi Bersani e Bersani ha ascoltato il suggerimento. Altrimenti non sarebbe mai stata eletta. Il partito per le primarie aveva puntato su altri tre nomi». Quindi non avete fatto campagna elettorale? «Sì che l'abbiamo fatta. Il partito le diceva dove andare a parlare e lei andava. Ma a spese proprie. Per i tre mesi di campagna ho investito io quasi duemila euro perché in giro non raccoglieva niente». Beh, quei soldi adesso li avrete recuperati. «Mia moglie oggi guadagna circa cinquemila euro netti. Poi ne ha tremila di diaria con cui affitta la casa a Roma e paga le spese di trasferta e altri tremila da rendicontare, di cui ben duemila vanno al Pd». Perché? «Questa è una bella domanda visto che prendono anche il finanziamento pubblico. Le hanno fatto firmare un accordo molto generico per presunte spese elettorali con cui lei si impegna, dopo l'elezione a versare al Pd 34 mila euro. Ma quali sono queste spese elettorali? Era nel listino. Il partito non le ha dato niente e sono anche stupidi perché quei contratti sono atti impugnabili». Qualcuno in passato ha protestato perché i candidati sono costretti ad accettare, altrimenti non vengono candidati. «Questo è chiaro. Sono stati portati come una mandria di vacche a firmare questo “accordo”. Non c'erano alternative. C'era il fumus del ricatto». Per circa 400 eletti fa 13 milioni di euro. «Guardi che il Pd è una macchina da soldi». Sua moglie si aspettava di diventare ministro? «No. Nei giorni in cui si formava il governo, gli altri parlamentari erano quasi tutti giù a Roma a leccare le scarpe di chi decideva. Cécile era in giro per Bologna con una sua amica. L'ha chiamata Letta e le ha detto che voleva nominarla ministro. Quasi sveniva». Non sarebbe stato meglio il dicastero della Salute? «No. Quello è un ministero con potere di spesa e mia moglie non ha capacità gestionali». Veniamo alla Dawa. Libero ha svelato che non avete pagato le assicurazioni per i volontari, obbligatorie per legge. Di chi è la colpa? «Mia, è solo mia. Io sono il più intelligente dell'associazione (ride, ndr) e avevo il compito di occuparmi delle questioni burocratiche». Però la firma sui documenti è di sua moglie e le raccomandate con il sollecito di pagamento sono inviate a Cécile Kyenge. «Che vuole che le dica? Lei quella roba non la guarda. Mettete in croce me. Si va in galera per questo?». No, non si va in cella, ma è una grave irregolarità: i vostri volontari andavano in Africa senza assicurazione. «Sono tornati tutti a casa. E allora dove è il problema? Purtroppo di quelle questioni non mi sono mai occupato. Se di ignoranza devo morire, morirò». Ma questi documenti chi li ha controllati? «Non so dirle. Io no, ma mia moglie non ha fatto errori. E poi, in realtà, i nostri volontari non facevano praticamente un casso. L'operativa era Cécile». Guardi questi bilanci di Dawa. Ci sono delle correzioni a penna. «Non ho mai visto neanche questi fogli, i bilanci che ho glieli mando via email». La presidente di Dawa, Franca Capotosto, non ha risposto alle domande di Libero. «È stato un grave errore. Per questo alla prossima assemblea mi presenterò e chiederò le sue dimissioni, anche se siamo amici. Le dirò di preparare i bagagli e se non lo farà mi dimetterò io». Alcuni volontari hanno contestato le vostre opere in Congo. Dicono che siano fatiscenti. «Nel 2007, quando sono scesi in Africa i vostri testimoni la situazione era come l'hanno descritta, non lo nego. Ma l'anno dopo è migliorata come posso dimostrare con le foto. La struttura oggi è dignitosa, almeno per gli standard africani. A onor del vero lo è diventata grazie al finanziamento del governatore del Katanga». Allora voi che cosa avete fatto? «Per esempio abbiamo inviato due container di materiale, compresa un'autoambulanza usata, e per il trasporto e lo sdoganamento abbiamo speso 14 mila euro. Noi ne avevamo raccolti 9 mila, ci siamo dovuti autotassare». Il vostro impegno è rimasto circoscritto alla zona dove è nata sua moglie. Non le sembra ci sia un conflitto d'interessi? «Lei conosce l'Africa? È impossibile lavorare là. È una vera jungla. In un viaggio ci hanno chiesto piccole mazzette a ogni posto di blocco. È tutto complicato. Per lo meno a casa di mia moglie riusciamo a fare qualcosa, conosciamo le persone. Ho deciso io di progettare un ospedale nel suo villaggio. È il mio grande sogno». Ha altre idee per l'Africa? «Stavo progettando una sorta di cooperazione con delle start-up da far partire laggiù. Purtroppo dopo il vostro articolo su Dawa mi hanno fatto sapere che non è opportuno. Almeno per il momento». In questi giorni dal natio Congo sua moglie non riesce neppure a far rientrare in Italia 26 famiglie di nostri connazionali con i figli adottivi. «Su quella storia ho poche informazioni. So che Cécile se ne sta occupando. Ma secondo me qualche associazione vuole farci la «pila» (i soldi, ndr)». In che senso? «Conosce le adozioni a distanza? Un mio amico pagava per mandare a scuola un ragazzino in Congo. Io sono andato a intervistarlo con una telecamera: quel bambino stava a casa con la nonna, i banchi non li aveva mai visti». Dicono che sua moglie in Africa si facesse pagare le visite ambulatoriali. «Laggiù sono delle iene, vogliono tutto gratis. Era un accordo con le autorità locali. Guardi qui». (Grispino mostra un protocollo d'intesa con cui venivano garantite tre visite gratis al mese ad alcuni pazienti di una missione). L'ambulatorio si trova a casa di suo suocero. «Ha messo a disposizione un locale di proprietà, ma lui non ci guadagna niente. Una volta un belga gli ha proposto di costituire una società al 51 per cento per lo sfruttamento del sottosuolo del villaggio. Gli ho detto di non accettare. Alla fine quello straniero è sparito». Ma che cosa c'è nel sottosuolo del villaggio Kyenge? «Dicono diamanti». Suo suocero sembra uno stregone. Venera le termiti. «Custodisce le tradizioni. Quegli insetti si trovano nella casa degli avi, dove si svolge l'antico rito dell'accoglienza. Lo abbiamo fatto anche con mia moglie. Alcuni volontari però non hanno voluto bere quello che ci hanno dato. Le mando il video se vuole. (Il video ce lo ha inviato e si potrà vedere da questa sera sul nostro sito www.liberoquotidiano.it. Al termine della cerimonia, Grispino è diventato principe, in quanto marito della principessa Cécile, ndr).  Ma mia moglie è cattolica, fa pure la comunione».  A Roma si troverà bene. Da quando è ministro riuscite a vedervi? «Praticamente mai. Io vivo con la nostra figlia più piccola, diciottenne, e con il mio pastore maremmano. Chi fa l'agenda a Cécile non le lascia libero neppure il week end. Un parlamentare per lo stesso stipendio lavora tre giorni la settimana». Dove dimora sua moglie nella Capitale? «Due stanze in via del Babuino a 1.200 euro al mese. Adesso sta cercando una casa un po' più in periferia, magari più grande». Ci sono poche foto ufficiali di voi insieme. Ce n'è una sotto alla Tour Eiffel. Mentre in un'altra il presunto marito non assomiglia a lei... «È vero, a Venezia girava con il suo portavoce e le mie due figlie. Lui era sempre lì attaccato ed è entrato in tutte le foto. Lì ha sbagliato anche mia moglie, l'addetto stampa non deve stare sempre lì con lei». Non sarà mica geloso? «Io? Si figuri. Ma quello adesso lo faccio mandare via». Come ha conosciuto sua moglie? «Venticinque anni fa ho dovuto fare due trapianti di cornea. Cécile è una bravissima oculista e ci siamo conosciuti durante quelle visite. È strano vedere con le cornee di qualcun altro. Io ho gli occhi di due morti, una ragazza di diciotto anni deceduta in un incidente e un muratore di 42 caduto da un'impalcatura. Quando lo dico ai miei suoceri abbassano la sguardo. Sa chi ha subito il mio stesso intervento?». Chi? «Il buon Luigi Bisignani. Sto leggendo il suo libro L'uomo che sussurra ai potenti. È interessantissimo, rivela molte cose vere. Dice che Roma è un ventre molle che avvolge tutto. Sono riuscito a parlare con lui al telefono e ora spero di incontrarlo». Che cosa pensa di Silvio Berlusconi? «Trovo incredibile che l'abbiano condannato a 7 anni per la vicenda Ruby. Quella ragazza le sembra per caso una minorenne?».  Tra lei e sua moglie chi ha fatto il primo passo? «Beh io. Non avevo mai avuto una donna di colore, ma mi sono innamorato subito. È diventata medico, facendo la badante, è una donna con due palle così. Sapevo che andava a un concerto di Claudio Baglioni e mi sono fatto trovare là pure io. Poi per un po' mi ha invitato a bere il the a casa sua. Quando è rimasta incinta ed è nata la mia prima figlia, nel 1993, ci siamo sposati. Prima di conoscere lei non ero mai stato all'estero. Anzi sì, a Monte Carlo e a San Marino». È stato facile introdurre Cécile nella sua famiglia? «Per niente. Ricorda il film Indovina chi viene a cena? Mi presentai con lei dai miei genitori senza dire di che colore fosse. Fu un momento imbarazzante. Comunque papà e mamma erano più arrabbiati quando frequentavo una donna molto più grande di me». Amici e parenti come l'hanno accolta? «In Calabria, il paese dei miei genitori, ho trovato tanta ipocrisia. Ma io sono modenese per “ius soli” (ride, ndr). Di amici invece ne ho persi diversi. Anche se qualcuno è riapparso quando Cécile è diventata ministro». L'intervista è finita. Grispino indossa con cura un Borsalino marrone. «L'ho comprato a Roma per l'inagurazione del Parlamento». Quindi si raccomanda: «Io ho risposto a tutto. Ma adesso lasciate stare mia moglie. Dai, chiudiamola qui». intervista di Giacomo Amadori

Dai blog