Gregoretti, Giulia Bongiorno in aula: "No al processo contro Salvini, perché non è sequestro di persona"
"Lo dico anche a Matteo Salvini: non si faccia provocare". Giulia Bongiorno, ex ministra e senatrice della Lega, esprime in aula la posizione del partito sul caso Gregoretti: no al processo contro il leader ed ex ministro degli Interni, accusato dal Tribunale dei Ministri di Catania di sequestro di persona per i 131 migranti trattenuti a bordo della nave militare lo scorso luglio. Leggi anche: "Non è un reato, ma...". Renzi, doccia gelata su Salvini: agguato perfetto Dopo che anche Italia Viva ha annunciato il proprio voto favorevole al rinvio a giudizio, la sorte di Salvini sembra segnata. Forse anche per questo la Bongiorno, avvocato di grido, arringa di fronte ai colleghi con veemenza: "Qui nessuno di noi può scavalcare i giudici. Quello che non è chiaro è che da un lato c'è un ministro e sull'altro piatto della bilancia c'è il potere giudiziario. Ma la legge dice che quando ci sono questi due poteri, ci vuole un terzo giudice. In questo momento siamo noi senatori, i giudici. O capiamo questo o non abbiamo capito nulla. Dovete solo chiedervi se l'atto (compiuto da Salvini, ndr) è stato compiuto nell'interesse pubblico, non se corrisponde all'interesse politico del governo". "Prenda un altro avvocato, più autorevole di me - dice poi la Bongiorno rivolgendosi a Salvini -. Un avvocato che ha detto: 'Noi della presidenza del consiglio abbiamo lavorato perché bisogna ricollocare e poi consentire lo sbarco'. Ecco, in relazione alla Gregoretti, queste sono le parole del presidente del consiglio, avvocato Giuseppe Conte". Il Senato applaude convinto: "Io credo - conclude la Bongiorno - che sia impossibile configurare un rallentamento allo sbarco come un sequestro di persona. Create questa nuova fattispecie incriminatrice, il rallentamento allo sbarco. E processate Salvini. Ma certamente non è sequestro di persona. In nome della separazione dei poteri, non celebratene il requiem ma siate liberi, coraggiosi e forti". Appello che probabilmente cadrà nel vuoto, in nome degli interessi di partito (e, stavolta sì, di governo).