Emilia Romagna, Alessandro Giuli: se anche Bonaccini vincesse, morirebbero sinistra e Pd
Comunque vada oggi in Calabria e soprattutto in Emilia-Romagna, per la sinistra sarà un voto a perdere. Sia che all' ultimo miglio si riconfermi di misura nella roccaforte padana, a maggior ragione se Stefano Bonaccini verrà scalzato dalla leghista Lucia Borgonzoni. Quanto alla Calabria, se ne parla poco o punto perché pare non vi sia alcuna chance per il generoso Pippo Callipo contro l' azzurra Jole Santelli. Leggi anche: Emilia Romagna, Macaluso: "Comunque vada, la sinistra ha già perso" Ma restiamo al tema principale. Il Partito democratico e la sinistra in generale, compreso ciò che rimarrà sul campo di battaglia della compagine grillina, si avviano a certificare la sopraggiunta sconfitta di un mondo al crepuscolo. La competizione in Emilia ha dimostrato come la sola chance di vittoria per Bonaccini risiedesse nell' occultamento del suo partito: espunto simbolicamente dai manifesti elettorali, il suo personale politico è stato nascosto o diluito ad arte nella mobilitazione della società civile. Basti pensare che il segretario Nicola Zingaretti ha chiuso la campagna per le regionali in Calabria. È il segno di un ripiegamento desolante che si combina con la lancinante necessità di armare in laboratorio l' esperimento delle Sardine per disporre d' un deterrente minimo allo strapotere di Matteo Salvini. VITTIMA COLLATERALE Ciò che, tuttavia, non impedisce di cogliere il paradosso della vigilia: se vince Bonaccini il suo sarà un successo circoscritto, figlio del travestimento e ascrivibile a un modello di socialismo regionale (il capitalismo amministrato dalle cooperative) che può ancora prosperare nella forma di un' autogestione avulsa da Roma; in caso contrario, come sembra più probabile, il governatore uscente sarà soltanto la vittima collaterale di una spaventosa sberla di carattere nazionale che coinvolgerà l' intero blocco goscista. Bonaccini potrà finalmente prendersela con il governo tasse&manette più inviso agli italiani nella recente storia repubblicana e avrà buon gioco nel sostenere che l' Emilia-Romagna non è soltanto lo specchio della sua coscienza infelice ma l' oggetto di un' ennesima punizione elettorale di amplissima gittata. CONFINATO NELLE CITTÀ Siamo dunque in attesa dell' ulteriore sottolineatura di una tendenza in atto da diversi anni e che ha penalizzato il Pd sia alle politiche nazionali sia nelle ultime sei sfide regionali: a quasi cinque anni dal fallimento della grande sbornia riformista renziana, la sinistra vegeta ormai in un arroccamento metropolitano disperato, percepita come l' inquilina del privilegio di classe opposta alla marea montante dello scontento periferico, cittadino e provinciale, personificato dal popolo in rivolta contro l' oligarchia globalista in fuga da ogni presidio sociale e inadempiente nei suoi doveri storici. In quest' ottica, Salvini non è altro che il volto ghignante di una nemesi irragionevolmente ascritta a un immaginario impoverimento del quoziente intellettivo e morale degli elettori. Il contraccolpo emiliano è destinato a immortalare deficienze e limiti di tutta la nomenclatura radunata intorno a Zingaretti, il quale sa di giocarsi la propria leadership e perciò l' ha resa preventivamente disponibile nella prospettiva d' un congresso di scioglimento. Un appuntamento, questo, nel quale sarà tanto difficile contrabbandare l' apporto delle Sardine come un balsamo rigenerante quanto proclamare un' improbabile volontà di annessione rispetto ai pentastellati agonizzanti. È anzi verosimile che un fremito d' autocoscienza induca i dirigenti democratici a mettere se stessi sul banco degli imputati. I primi a farlo potrebbero essere alcuni ministri insofferenti persino all' idea di continuare nella funesta alleanza di governo giallorossa. Una crisi nella maggioranza è alle porte? Lo testimonia l' angosciata ostinazione con cui viene negata dal bispremier Giuseppe Conte, prima vittima sacrificale dei sommovimenti in vista. Alla prova dei fatti, il Pd sarebbe costretto a decidere se invocare le urne anticipate per mettere in sicurezza, hic et nunc, un 20-25 per cento di consensi oppure convocare la ridotta in Valtellina asserragliandosi in un Palazzo assediato da un' impopolarità dilagante che continuerà senza tregua a eroderne le fondamenta. Il fragore del tonfo sarà commisurato alla protervia degli assediati. LE DUE ITALIE Esiste forse un' altra variabile. Da domani sarà ancora più evidente l' esistenza delle due Italie fin qui delineate: quella del potere centrale senza consenso popolare e quella del consenso regionale senza potere parlamentare. Potrebbero entrambe ammettere la necessità di una trattativa? In mancanza di un esito elettorale immediato, sarebbe addirittura sperabile. Ma a questo punto la sinistra, a partire dall' indecidibile costola renziana, verrebbe chiamata al dovere di abbandonare i rimasugli del grillismo, farsi carico di un ricambio al vertice interno e promuovere un patto di sistema per condurre in porto una fine di legislatura d' emergenza culminante nell' elezione condivisa del nuovo presidente della Repubblica. Anche tale ipotesi, che potremmo definire di "salute pubblica", finirebbe per smentire l' arabescato e insipiente percorso seguito sin qui da Zingaretti e dai suoi simili. Ma per lo meno mostrerebbe il tratto di una resipiscenza e costringerebbe il fronte sovranista a moderare le sue venature anti sistemiche in un quadro di responsabilità superiore ai calcoli personali e alle violente ma ineffettuali spallate di piazza. Ne nascerebbe un quadro politico stabilizzato da un ritorno al bipolarismo delle larghe intese in cui il prezzo da pagare sarebbe grosso modo identico per tutte le forze contraenti. Che sia questa, per quanto impervia e al limite della fantasticheria, l' opzione omega che cela in cuor suo il capo dello Stato? Resta naturalmente impregiudicato il compito di ridefinire con precisione il mandato fondamentale della sinistra terremotata. Da dove ripartire? L' infilata d' insuccessi suggerirebbe di ripensarne l' intero assetto, orientandolo verso i lidi di una sinistra nazionale, patriottica e securitaria (modello Minniti, per intenderci), identitaria (ius culturae ecc.) ed europea ma non eurolatrica. Insomma il socialismo riformista (e tricolore) in un solo Paese piuttosto che una finta sinistra accoccolata sulle ginocchia dell' élite apolide. Ma per un simile disegno non s' intravvedono ancora sopravvissuti all' altezza. di Alessandro Giuli