Autostrade, Di Maio e Patuanelli pronti a revocare la concessione ad Atlantia: danno per 23 miliardi
Dice Luigi Di Maio che la revoca delle concessioni ad Autostrade «è una battaglia di civiltà». In realtà la civiltà di chi governa si misura da come tratta i soldi dei contribuenti, il che fa dei giallorossi una tribù di cannibali. Con quest' ultima mossa Giuseppe Conte e la sua schiera mettono a rischio 23 miliardi di euro appartenenti agli italiani: al confronto, quelli che hanno bruciato sinora in Alitalia e Ilva sono spiccioli. E il conto vero, alla fine, potrebbe essere ancora più caro. È il prezzo da pagare per l' incompetenza al potere. Dopo la tragedia del ponte Morandi i Benetton, primi azionisti di Autostrade tramite la società Atlantia, erano nei guai. LA MAGISTRATURA La cosa giusta da fare era lasciar svolgere alla magistratura il proprio lavoro e al termine tirare le somme: qualora fossero state accertate illegalità da parte della concessionaria, la rescissione e la richiesta di risarcimenti sarebbero state giuste e inevitabili. Nel frattempo, la debolezza di Atlantia poteva essere usata per strappare nuovi impegni ai Benetton, i quali, colpiti anche nell' immagine, si erano detti pronti a mettere mano al portafogli. Si è scelta la strada opposta, invece, e la «civiltà» non c' entra. Di Maio e Stefano Patuanelli hanno creduto di poter sfruttare la vulnerabilità dei Benetton per farli intervenire in Alitalia. I ministri grillini, incapaci di mettere in piedi una cordata, ne sarebbero usciti come i salvatori della compagnia. Nel frattempo, al grido di «non possiamo aspettare i tempi della giustizia», Conte e i Cinque Stelle preparavano il meccanismo per ritirare la concessione autostradale, da far scattare nel caso in cui il salvataggio di Alitalia fosse fallito, come puntualmente è accaduto. Così si è giunti alla situazione di queste ore, che vede i legali del gruppo Atlantia pronti a far recedere Autostrade dal contratto, in reazione alla modifica unilaterale imposta dal governo, e chiedere allo Stato un risarcimento tra i 23 e 25 miliardi di euro. Cifra enorme, anche se dovesse essere dimezzata per risarcire i danni del crollo del ponte Morandi. Eppure le probabilità che sia riconosciuta sono concrete. La motivazione con cui il governo vuole togliere la concessione è infatti la stessa alla base del "decreto Genova", mediante il quale Autostrade è stata tagliata fuori dalla ricostruzione del viadotto poiché «non può escludersi» (dice il testo) che il crollo sia dovuto alla sua inadempienza. Tesi che fa a pugni con la certezza del diritto, e infatti il Tar della Liguria ha chiesto l' intervento della Corte costituzionale, ricordando che al momento la responsabilità di Autostrade nel crollo è «meramente potenziale, perché non accertata, nemmeno in via indiziaria». Se la Consulta boccerà quel decreto, è assai probabile che la revoca della concessione abbia la stessa sorte. Con seguente bonifico miliardario da parte dei contribuenti ai Benetton e ai loro soci. PIAZZA AFFARI Il resto del danno riguarda la credibilità dell' Italia. Atlantia, che ieri in Borsa ha ceduto il 4,8%, ha 40mila azionisti, tra i quali gli italiani sono una minoranza. Dentro Autostrade ci sono i tedeschi di Allianz (7% del capitale) e i cinesi del gigantesco Silk Road Fund (5%): i loro rappresentanti stanno dipingendo l' Italia come una repubblica delle banane. Il fondo sovrano di Singapore ha inviato una lettera a Conte e ai ministri Gualtieri e De Micheli per lamentare la violazione del principio "pacta sunt servanda" da parte del governo. Investitori simili, che hanno opportunità di guadagno ovunque, se mettono l' Italia nell' elenco dei Paesi inaffidabili la lasciano e non tornano più, oppure pretendono un rendimento molto più alto dai nostri titoli, inclusi quelli che coprono il debito pubblico. Questione di obiettivi, insomma: se il modello è il Venezuela, il caso Autostrade è un successone e Conte, Di Maio e Zingaretti possono battersi le mani. di Fausto Carioti