Paola Pisano, perché è il ministro più inutile del governo: il commento di Alessandro Giuli
A quasi due mesi e mezzo dall' insediamento, nel governo Conte 2.0 è già possibile distribuire i primi riconoscimenti al non-valore. Ed è così che sul podio ideale dell' irrilevanza ritroviamo tre pallide figure di ministri anonimi e stentati: non tanto i peggiori della compagine, diciamo piuttosto i non pervenuti. Eccone i nomi: Paola Pisano, Vincenzo Amendola ed Elena Bonetti, tre Carneadi senza neppure una filosofia negletta alle spalle. IL GRADINO PIU' ALTO La medaglia d' oro va incontestabilmente alla ministra Pisano, titolare del dicastero per l' Innovazione e la Digitalizzazione: casacca dei Cinque stelle e un recente passato da assessore a Torino, con il medesimo incarico, nella Giunta di Chiara Appendino. Leggi anche: Barbara Lezzi, l'unico merito? Aver umiliato D'Alema Nel capoluogo piemontese, la professoressa Pisano vanta perfino una cattedra universitaria che pare le abbia procurato fama di "donna più influente nel digitale". Ma al momento la sua biografia politica si è fermata lì, ai suoi 42 anni portati con sprezzatura post adolescenziale: un piercing al sopracciglio destro, l' abbigliamento informale - t-shirt nera e scarpe da ginnastica all' esordio in società per il Digital Summit autunnale di Capri - e un' allure minimalista come la sua scarna pagina ufficiale sul sito del governo. Parlare parla poco, forse perché ha pochissimo da dire. Aveva promesso che nella legge di bilancio in allestimento a Palazzo Chigi avrebbe trovato spazio «l' importante digitalizzazione dei pagamenti», e che per la riuscita del suo ruolo sarà fondamentale la collaborazione con altri due ministeri entrambi in quota pentastellata: l' Istruzione e Università e Ricerca di Lorenzo Fioramonti e lo Sviluppo economico di Stefano Patuanelli. E questo può far riflettere, poiché stiamo parlando dei politici che si stanno intestando le tasse sulle bevande gassate e la chiusura dell' Ilva. Ma la verità è che il ministero dell' Innovazione è ancora un domicilio disabitato, senza deleghe e soprattutto senza portafoglio: una concessione alla futurolatria grillina che obbedisce a suggestioni più che a disegni strategici. Un progetto a metà strada tra la riforma della Pubblica amministrazione agognata a suo tempo da Renato Brunetta e il rogo delle obsolete leggi cartacee improvvisato da Roberto Calderoli quando fu chiamato a gestire la Semplificazione. Insomma, per ora la Pisano sembra uno spartitraffico tra carcasse ministeriali in attesa d' una riverniciata di modernità. Auguri vivissimi, perciò, nell' attesa che dalla cocca di Davide Casaleggio pervenga un giorno del materiale su cui poter dare un giudizio di merito. NATO VECCHIO La medaglia d' argento se la conquista d' imperio il quasi quarantaseienne napoletano Vincenzo Amendola, che è la personificazione di tutt' altro mondo. Lui è uno dei pochi ex comunisti che parlano inglese e per questo è stato proiettato agli Affari europei. Rampollo della Sinistra giovanile, già deputato nel 2013 e subito dopo promosso sottosegretario agli Esteri nei governi di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, alla vigilia dell' insediamento del Conte 2.0 Amendola era noto alle cronache per essere il marito della battagliera giornalista d' origini marocchine Karima Moual. A guardarlo, si nota immediatamente l' imprinting del giovane funzionario d' apparato nato vecchio e assai bene istruito: è il suo pregio e la sua condanna. Viaggia molto, per le note ragioni, frequenta le televisioni quel tanto che basta per far retrocedere gli schermi all' epoca del bianco e nero, non pronuncia mai una parola fuori posto ma se pure lo facesse non riuscirebbe a spezzare la fase Rem del sonno inflitto allo spettatore. Chi lo conosce lo descrive come un gran faticatore accompagnato da una fortuna intermittente: sta cercando di riaccreditare l' Italia agli occhi dell' establishment europeo antipopulista assicurando che il tutorato del Partito democratico sui Cinque stelle può funzionare. Purtroppo nessuno se n' è ancora accorto, e così finora i maggiori complimenti sono giunti dai predecessori come Carlo Calenda («di questo governo è senz' altro il migliore») o dagli avversari gentiluomini come Guido Crosetto: «È preparato, serio, disponibile». Non ha la stoffa del leader né il carisma del trascinatore, un grigiore naturale lo preserverà dalla resa dei conti che attende la maggioranza giallorossa alla fine della sua infausta avventura. Se è per questo, poi, Amendola fa parte della non più ristretta cerchia dei sodali di Nicola Zingaretti la cui pazienza sta giungendo al capolinea: ai Consigli dei ministri con Luigi Di Maio, l' altolocato travet zingarettiano venuto dalla Figc preferisce ormai i dibattiti con gli studenti, purché a lui consanguinei come quelli del romano Liceo Tasso incontrati giorni fa per mettere in questione la narrazione anti comunista sulla caduta del Muro di Berlino. ORIGINE PARROCCHIANA E veniamo infine al cupo bronzo che cinge il collo della lombarda Elena Bonetti da Asola, la ministra della Famiglia prepotentemente voluta al governo da Renzi. Per il bullo di Rignano, che la volle nella sua segreteria, la comune origine parrocchiana (fu scout come Matteo) rappresenta un marchio di sicura fedeltà: una lupetta (o diversamente coccinella) al servizio della Leopolda da scaraventare nell' empireo e proteggere - pare sia un permalosetta - dalle angherie dell' opposizione mediatica sovranista. La vera secchiona della compagnia è proprio lei: professoressa di Analisi matematica e compilatrice anni fa di una "Carta del coraggio" nella quale la ragazza scout chiedeva all' Agesci una maggiore apertura sui temi del divorzio e dell' omosessualità. E dove poteva finire, nel governo più pazzo del mondo, una come lei? Alla Famiglia per l' appunto. Un altro ministero immaginario usato per capovolgere i canoni tradizionali invocando l' adozione dei figli per le famiglie arcobaleno e l' introduzione sorda dello ius soli. Una cosa buona, però, stava per ottenerla: il pacchetto miliardario di incentivi alle famiglie comprendente un sontuoso bonus-figli che avrebbe potuto rilanciare la natalità. Ma i ragionieri del Tesoro, conti alla mano, hanno rastremato all' osso l' ambizioso disegno (600 milioni di euro, bene che vada) costringendo la Bonetti a dirottare le proprie energie verso l' abbassamento dell' Iva sugli assorbenti, o tampon tax, considerato come una sacrosanta "battaglia di civiltà". Nell' insieme, al suo cospetto, resta l' impressione invalicabile di avere a che fare con una sorta di Boldrini diafana e dalle minori qualità d' incassatrice. Ma sono trascorsi soltanto due mesi e poco più, si può fare di peggio. di Alessandro Giuli