Barbara Lezzi, il suo unico merito è aver umiliato Massimo D'Alema. Ma ha ucciso il Sud
Fra i malanni del Sud c' è l' assurdità tutta italiana di un ministero per il Sud. Basta guardare ai danni politici, materiali e biologici che negli anni si sono cumulati sul Mezzogiorno d' Italia, per capire che la scelta di un dicastero dedicato è una boiata pazzesca. Leggi anche: Barbara Lezzi, lo sfogo contro Senaldi e Sallusti Se non ci credete, figuratevi l' immagine di Barbara Lezzi: l' erinni salentina del governo gialloverde aveva battagliato per la chiusura dell' Ilva e mietuto voti nel suo collegio pugliese promettendo l' altolà al gasdotto transadriatico («Voglio sfidare chiunque a stendere un asciugamano sopra un gasdotto», aveva azzardato incurante del fatto che il gasdotto era progettato a 10 metri di profondità). Risultato: la Tap si farà ma l' Ilva rischia davvero di saltare in aria per via del noto emendamento della Lezzi con il quale il nuovo governo giallorosso ha tolto lo scudo penale per Arcelor-Mittal. Comunque vada a finire la vicenda, resterà a futura memoria il sentore della vendetta perseguita dalla Lezzi, sia pure sotto il legittimo ombrello emotivo della difesa dall' inquinamento ambientale, per la mancata riconferma nel suo ministero. Sarebbe interessante un parere di Beppe Grillo al riguardo, lui che della Lezzi è considerato quasi un padre e che dell' Ilva voleva fare un parco turistico, ma oggi è strenuamente impegnato nella difesa dell' innaturale connubio tra il Movimento Cinque stelle e l' ex nemico Pidiota E intanto Barbara avanza a testa alta in Senato, forte delle debolezze altrui, incapace di perdonare chi l' ha scaricata dopo aver condonato le incertezze che hanno punteggiato una carriera così fulminea nella sua biodegradabilità. La si ricorda con indulgenza quando vestì i panni improvvisati della sociologa (lei è perita aziendale) concentrata nel giustificare una lontana impennata del Pil (era il 2007) «perché ha fatto molto caldo e in tanti sono corsi ad accendere i condizionatori»; e la si perdonò nella sua qualità di costituzionalista, allorché si disse certa che per ridurre il numero dei parlamentari bastasse un decreto legge da approvare in quindici giorni, altro che riforma della Carta Resta il mistero su cosa abbia potuto fare per le istanze del Meridione l' agrodolce e spensierata ministra ottusangola (copyright feroce di Marco Travaglio) che voleva informare i cittadini «a 370 gradi» e che adesso, giunta al secondo mandato (in teoria l' ultimo, ma chissà), incrudelisce sugli ex sodali grillini e recrimina sul miraggio di un Parlamento da aprire «come una scatoletta di tonno»; un sogno remoto in omaggio al quale, nell' ormai lontano 2013, si era presentata in Senato munita appunto di apriscatole. IL SUCCESSORE Che dire, ora, del suo successore Giuseppe Provenzano da San Cataldo-Caltanissetta? Competente senza dubbio, in quanto vicedirettore dello Svimez e membro del Comitato di redazione della Rivista economica del Mezzogiorno, Provenzano non viene dal nulla e ha lavorato nella Giunta siciliana di Rosario Crocetta (assessorato all' Economia). Adesso si ritrova precipitato in tivù a difendere un bidone vuoto di senso ma ricco di pretese. Il ragazzo (è nato nel 1982) s' impegna e alterna sonore banalità propagandistiche - «Questo governo non è contro il Nord ma amico del Sud perché così è amico di tutta l' Italia» - a più realistiche ammissioni: «Non basta essere meridionali per essere anche meridionalisti, anzi la storia ci ricorda che spesso sono stati proprio i meridionali i principali nemici del Mezzogiorno». Perché il punto è esattamente questo: fatta eccezione per il predecessore della Lezzi, il professore di economia politica e maestro di buone relazioni Claudio De Vincenti, già titolare della Coesione territoriale e del Mezzogiorno in quota Partito democratico nel governo Gentiloni, chiunque abbia occupato il posto che fu della Lezzi ha issato l' ideale stendardo del Masaniello infelice o è svaporato nel dimenticatoio. Il Sud, come il Nord e come il Centro d' Italia, avrebbe bisogno di libertà e autodisciplina, di esami di maturità e calci nel sedere; invece aspetta quattrini e continua a rimanere vittima di un malinteso senso di solidarietà statalista che sconfina nella rivendicazione borbonica o nel piagnisteo furbetto. Una patologia che nasce, paradosso nel paradosso, con l' epica liberale berlusconiana, quando Gianfranco Miccichè associò le deleghe sudiste al suo ministero dello Sviluppo nel 2005, seguìto cinque anni dopo da Raffaele Fitto. Ma la Coesione territoriale ha offerto al cono di luce mediatico pure altri incomprensibili fenotipi che con l' unità o la disunità d' Italia sembravano non avere nulla a che vedere. Vedi l' indipendente torinese Fabrizio Barca, in realtà sinistrissimo uomo d' élite, ministro tecnico nel governo Monti di cui gli annali menzionano l' oscuro periodare con cespugliose citazioni brandite in modo più o meno disinvolto, tipo quella sul «catobleba» (un leggendario quadrupede esotico) attinta da Plinio il Vecchio e usata per simboleggiare il difficile rapporto tra cittadini e amministrazione pubblica. E a proposito di esseri leggendari, chi serba memoria di Carlo Trigilia da Siracusa? Risposta esatta: nessuno. Eppure egli risulta essere fra i massimi esperti viventi dei guai clientelari che affliggono il Mezzogiorno, una reincarnazione del Gramsci che si accigliava di fronte alle congenite insufficienze delle «pagliette meridionali» o del Vincenzo Cuoco che biasimava il fallimento dell' esportazione della democrazia a Napoli nel 1799. Ebbene, il buon Trigilia volava alto e anche lui ha vanamente posseduto le deleghe alla Coesione territoriale (governo Letta, 2013), ovvero il travestimento burocratico per occuparsi del Sud Italia senza portafoglio ma con l' obbligo morale di denunciarne l' eterno sottosviluppo. MEDAGLIE AL DISVALORE E qui ritorniamo a Barbara Lezzi, il cui merito principale consiste forse nell' aver umiliato Massimo D' Alema nel suo collegio di Nardò alle consultazioni nazionali del 2018 (107mila preferenze contro 500). Oggi, piantata a mezza via tra Caparezza e Alessandro Di Battista, la sua figura viene bersagliata da ogni lato con accuse pesantissime: Carlo Calenda dice che «l' investimento più rilevante degli ultimi 40 anni nel Mezzogiorno salta per le ambizioni politiche di Barbara Lezzi»; Luigi Di Maio confida di non riuscire più a controllarla dacchè lei ha deciso d' intestarsi la dissidenza disorganizzata all' interno del Movimento Cinque stelle. Ma sono soltanto le ultime medaglie al disvalore appuntate sul petto di un equivoco chiamato ministero per il Sud, impalpabile omaggio alla terra del rimorso prigioniera dei suoi perenni tumulti feudali. di Alessandro Giuli