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L'Europa ci bocciadobbiamo cambiare le pensioniEcco chi ci rimette

Claudio Antonelli
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Quella di ieri è stata una giornata tachicardica per i pensionati e i lavoratori italiani. Il messaggio di fondo è chiaro. C'è un allarme sul patrimonio dell'Inps. O si fa una nuova riforma del sistema pensionistico o dopo il 2015 saranno guai grossi. Il numero uno dell'Istituto, Antonio Mastrapasqua, ha chiesto al ministro del Lavoro e a quello dell'Economia di  fare un'attenta riflessione. Perché nei conti dell'Inps, che ormai sono un bilancio unico con quello del comparto pubblico, «il disavanzo patrimoniale ed economico è qualcosa che, visto dall'esterno, può dare segnale di non totale tranquillità».  Parlando davanti alla commissione bicamerale sul controllo degli enti previdenziali, Mastrapasqua ha spiegato che «l'origine della perdita dell'Inps deriva da uno squilibrio imputabile essenzialmente al deficit ex Inpdap, alla forte contrazione dei contributi per blocco del turnover del pubblico impiego e al continuo aumento delle uscite per prestazioni istituzionali». In poche parole, se si va avanti così, dopo il  2015, il buco patrimoniale potrebbe mettere in crisi il pagamento delle pensioni così come oggi è previsto per legge. Prima della riforma Fornero e del governo Monti l'Inps godeva, infatti,  di un tesoretto da circa 40 miliardi. Poi l'accorpamento con i due Istituti del pubblico impiego (Inpdap e Enpals)  ha portato in eredità una voragine. Dal bilancio di previsione 2013, approvato dal Consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ) dell'Inps lo scorso febbraio, si capisce che quest'anno la super-Inps avrà un disavanzo di competenza di 10,7 miliardi per via dei 23,7 miliardi di disavanzo patrimoniale complessivo ex Inpdap.  Per l'assorbimento delle passività, l'Inps si troverà quest'anno con un patrimonio che da 41 miliardi (2011) sarà sceso a circa 15.  Nel 2014 e 2015 dovrebbero aggiungersi altri 10 miliardi di perdita all'anno. Risultato finale? Patrimonio negativo.  Sempre quest'anno l'Istituto sarà chiamato a erogare più o meno 265 miliardi contro un incasso non superiore a 213. Semplice, dunque, il patrimonio serve a tappare i mancati introiti legati al blocco del turnover. Ma se questo non c'è più, perché è andato a compensare i mancati versamenti o i ritardi dello Stato (gestioni Inpdap ed Enpals), e non ci sarà un'ondata di assunzioni (impossibile visto le stime sul Pil) la baracca non sta in piedi. A stretto giro di posta, le dichiarazioni di Mastrapasqua sono state rettificate dal titolare di via XX Settembre,  Fabrizio Saccomanni. «Nessun allarme», ha detto, «solo questioni tecniche». La cassa per le pensioni c'è. A quel punto, l'Inps ha diffuso un comunicato per chiudere la questione: «È solo un problema contabile, che non mina la certezza dei flussi finanziari. Nessun rischio né per oggi né per domani. Le pensioni sono e saranno regolarmente pagate». Vero. Ma il problema non riguarda i flussi finanziari, bensì - come scritto sopra - il patrimonio. E su questo aspetto nessuno ha rettificato.  Mercoledì, infatti, la trasmissione di Gianluigi Paragone, La Gabbia, ha mostrato una lettera dello scorso marzo (firmata da Mastrapasqua e indirizzata a Mario Monti e al ministro per gli affari correnti Elsa Fornero) in cui si scrive che il patrimonio netto basta appena a  sostenere «una perdita per non oltre tre esercizi».  Nessuno ha smentito il servizio andato in onda. D'altronde per una ventina di anni  l'Inpdap è sempre stata in rosso. I contributi non sono mai stati sufficienti a coprire le spese per le pensioni.  Politici e sindacalisti hanno sempre pensato che assumere nuovi lavoratori pubblici (per averne i contributi) fosse meglio che risolvere lo sbilancio. Poi con la crisi e il blocco del turnover si è pensato (vedi riforma Fornero) di bastonare i lavoratori subordinati, alzando le aliquote di Partite Iva e affini. Ma questo massacro (passaggio dall'attuale 27% di aliquota al 33% entro il 2018) alla fine porterà all'Inps “solo” 9 miliardi. Insufficienti per raddrizzare la baracca. Anche Libero lo scorso aprile ha lanciato l'allarme. Ha raccontato le riunioni per decidere tagli su tutti i fronti, compreso l'invio telematico del cud, la necessità di far pagare di più a certe categorie di lavoratori privati e l'ipotesi che l'esecutivo subentrante si sarebbe trovato ad affrontare l'ennesima riforma delle pensioni. La decima. I primi due punti si sono realizzati. Ieri Mastrapasqua ha confermato una diminuzione delle spese di funzionamento di 477 milioni di euro per l'anno 2013 e oltre 530 milioni di euro dal 2014. Resta il terzo punto. Che appare, dopo le conferme e le smentite di ieri, inevitabile. Bisogna mettere mano ancora all'indicizzazione delle pensioni (il cui blocco è stato tolto fino a 3mila euro) e affrontare il dramma  esodati. La questione più  grossa da risolvere è però il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo. Il secondo consente a fronte di misere pensioni una grande stabilità dei conti. Ma per tanti anni le pensioni elevate del sistema retribuitivo pre-Dini continueranno a essere pagate. E ciò non è più possibile. Queste dovrebbero essere riformulate.  E parecchio. L'alternativa alla riforma di tutto il sistema è una sola. Lo Stato dovrà, dopo il 2015, iniettare soldi nell'Inps prendendoli dal Fisco. Praticamente, morire di tasse prima della pensione. Claudio Antonelli  

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