Roberto Fico querela Libero, il giudice ci dà ragione: "Come funziona la libertà d'espressione"
Persino nei tribunali italiani, ogni tanto, accadono piccoli miracoli. Ti può capitare di spuntarla contro un politico che vuole limitare la tua libertà di scrivere, e con essa il diritto dei lettori ad avere un' informazione non allineata. A noi di Libero è appena successo. Raccontarlo è un dovere, oltre che un innegabile piacere. Perché il personaggio in questione aveva strillato ai quattro venti, accusandoci di avere insultato la sua persona, il parlamento e addirittura «sei milioni di ebrei vittime dell' Olocausto», e quindi è giusto rivelare come è finita. E perché lui non è uno dei tanti peones che affollano i banchi di Montecitorio, bensì il capo di tutti loro: il grillino Roberto Fico, presidente della Camera. Leggi anche: Le voci sulla scissione nel M5s Qualcuno ricorderà. Era il 7 novembre 2018 e il giorno prima la terza carica dello Stato aveva ricevuto con tutti gli onori Mai Al Kaila, ambasciatrice palestinese in Italia. Raccontammo di come costei, legata all' organizzazione politica e militare di sinistra Al Fatah, abbia due volti. Quando si rivolge agli italiani, ripete che quella palestinese è una battaglia non violenta, perché questo è ciò che vogliono sentire i suoi interlocutori, innamorati della favoletta del povero popolo disarmato oppresso dal crudele regime sionista. Quando invece parla ai suoi, in arabo, tramite i social network, santifica come «martiri» i terroristi palestinesi che compiono attentati ai danni degli israeliani, civili inclusi. Dimostrando così di condividere le ragioni delle loro stragi. Un gioco fatto tante volte, che questo giornale aveva smascherato già nel 2014. REAZIONE INDIGNATA Per Fico e il suo nutritissimo staff stipendiato dai contribuenti, insomma, sarebbe stato facile informarsi su chi è veramente Mai Al Kaila, al di là del ruolo che ricopre come rappresentante del non-stato palestinese. Dunque contestavamo l' abbraccio del pentastellato, «sandinista del Vomero», con «i nemici di Israele e fiancheggiatori dei terroristi». Tanto più deplorevole in quanto avvenuto negli uffici della presidenza della Camera, con tutti i crismi istituzionali. Pubblicammo la cosa in prima pagina. Sotto l' occhiello «Il presidente della Camera a gas» il titolo era: «Fico si avvicina ai terroristi palestinesi. Contento lui...». Fico ostentò una reazione indignata. Disse che il «titolo vergognoso» di Libero faceva «un raffronto inaccettabile, vigliacco e offensivo nei confronti dei sei milioni di ebrei vittime dell' Olocausto», e annunciò querela. Durissimo il suo esposto alla procura di Milano, scritto mentre in pubblico diceva che «in Italia c' è la Costituzione, la libertà di stampa è tutelata e lo sarà fino alla fine», e si lamentava perché «la stampa influenza la politica e i politici influenzano i giornalisti» (anche con le querele, è il caso di dire). Il successore di Laura Boldrini imputava al nostro articolo di essere «palesemente diffamatorio» e privo di «qualsivoglia esimente, sia essa dell' esercizio del diritto di cronaca o di critica politica». Sosteneva che esso conteneva una narrazione dei fatti «opposta alla verità», causando «un gravissimo danno» alla sua immagine e a quella della Camera, paragonata nella titolazione a una «camera a gas» e a una «camera mortuaria». Giudicava insultante l' espressione «sandinista del Vomero», dimostrando di non sapere chi sono i sandinisti. Inutili gli sforzi di Vittorio Feltri, il quale aveva provato a spiegargli che la metafora della camera a gas stava a indicare la trasformazione di Montecitorio in «un luogo invivibile dove ormai la democrazia è condannata». Fico pretendeva soddisfazione «in proprio e nella qualità di presidente della Camera» contro il sottoscritto, autore dell' articolo, Feltri e il direttore responsabile Pietro Senaldi. Il 17 settembre ha avuto ciò che meritava: l' ordinanza che accoglie la richiesta di archiviazione fatta dalla procura. Documento interessante, nel quale il gip spiega al presidente della Camera come funzionano il diritto di critica e altre libertà tutelate da quella Costituzione che Fico adora citare. LE PAROLE «La critica», nota il giudice, «è per sua natura soggettiva, e può esprimersi attraverso l' interpretazione della realtà, o il dissenso verso quanto osservato». Nel caso in questione, «quanto scritto appare legittima espressione del diritto di critica così interpretato, come giudizio negativo espresso a fronte di un fatto reale», ovvero la scelta di Fico di ricevere l' ambasciatrice palestinese. «Tale giudizio negativo non si risolve in un' aggressione gratuita alla sfera morale altrui», come sostenuto dal grillino, «ma è basato su informazioni già oggetto di un precedente articolo». Né Fico può sostenere di essere stato insultato: «L' espressione "sandinista del Vomero" non ha di per sé un contenuto offensivo o negativo, riferendosi semplicemente al modo ("rivoluzionari") in cui gli esponenti del movimento Cinque Stelle spesso si identificano». Anche l' espressione «presidente della camera a gas», conclude il gip, «sebbene piuttosto forte, può ritenersi funzionale alla critica, e non vuole creare alcun nesso con lo sterminio degli ebrei, tema del tutto estraneo all' articolo». Resta da dire che in questa battaglia non ci ha aiutato nessuno. Dall' ineffabile ordine dei giornalisti non è arrivato alcun supporto. Niente di cui stupirsi, ma chissà cosa sarebbe successo se una testata progressista fosse stata portata in tribunale da Matteo Salvini con pretesti simili. Sapevamo di avere ragione, ma sapevamo pure che ciò non sempre basta per avere giustizia. Ci è andata bene. Abbiamo avuto dalla nostra i bravissimi avvocati dello studio Ramella, e la fortuna di trovare magistrati con una visione liberale del diritto e delle garanzie individuali. Come dovrebbe essere normale, ma non lo è. di Fausto Carioti