A Matteo Richetti mollare il Pd costa più di un divorzio. Quanto deve sborsare: un conto salatissimo
Ci sono esilii sofferti ed esilii pagati. Quello di Matteo Richetti, del Gary Cooper del Pd, del caballero di (ex) provata fede renziana, è un autoesilio pagatissimo. Trattasi di 150 mila euro circa che la segreteria locale Dem ora gli ingiunge di sborsare per "mancato versamento di contributi". Richetti è il contraltare di Gianluigi Paragone nel M5S: dopo un sofferto j' accuse antigovernativo si è infilato nel solco ribellista di Carlo Calenda, si è astenuto sul voto di fiducia a Conte; e dopo il clamoroso strappo col partito è passato al limbo delle anime inquiete del Gruppo Misto. E qui, in formidabile scansione di tempi, gli è arrivata la mazzata. Il segretario del Pd locale emiliano, Davide Fava, rivendica verso Richetti una cifra ben più grossa di quella stabilita dal Tribunale di Modena (25mila euro), appunto quei 150 mila euro che in bocca ai dirigenti illivoriti di Zingaretti possiedono il retrogusto pungente della vendetta. Certo, non bisogna drammatizzare. L' esilio di Richetti non è quello di un antifascista a Ventotene; il Gruppo Misto è un comodo salottino per allegri dissidenti, il simbolo della lotta costituzionale al vincolo di mandato, la terra delle attese dove ognuno si fa un po' i cazzi propri. E, certo Richetti s' è espresso al Foglio, con dichiarazioni coerenti e quasi commosse, roba che con la politica attuale ha poco a che vedere: «A un certo punto nel Pd è prevalso un atteggiamento, che io pure rispetto: il governo a ogni costo. Al punto tale che i miei ex compagni di partito avrebbero accettato pure Di Battista agli Affari europei», «il Pd ha utilizzato il pericolo Salvini, che è un pericolo vero, per legittimare qualsiasi tipo di decisione. Si è andati oltre il consentito», «Mi sento qualcosa di più di un figlio di questa comunità, mi sento anche il padre di un partito che ho contribuito a fondare. C' è un pezzo di vita che si interrompe. Uno schema di relazioni che è anche un miscuglio di sentimenti ed emozioni». E tutto questo, da parte di un Pd che sta vivendo una lacerazione interiore pari solo alla voglia di poltrone, era ovvio che fosse mal digerito. I DEBITI - Ed è anche vero che i debiti sono debiti; e pare che il deputato riluttante Richetti, avvolto di mestizia, abbia già staccato un assegno di 12.500 euro per procedere a un piano di rientro - solo debitorio, non fisico - verso il partito, a scanso di seccanti pignoramenti. Ma è pur vero che la coincidenza tra lo scatto d' orgoglio di Richetti e la richiesta dell' obolo del partito appare assai curiosa. Ricordiamo che, tra i 5 Stelle, gli stessi pesi massimi Fico e Di Battista tardarono nei versamenti al Movimento, e quel gesto fu derubricato a "dimenticanza". E Richetti, insomma, nel Pd dell' ultimo quadriennio è stato presidente dell' assemblea regionale dell' Emilia Romagna, alfiere di indimenticate battaglie per i tagli dei costi alla politica, dirigente del "new deal" renziano nato da mille Leopolde. Non un pirla qualsiasi, insomma. LA GRANDE BOTTA - Eppure la botta arriva proprio adesso: l' ingiunzione ufficiale di pagamento di 25mila euro, a cui s' aggiunge la richiesta ufficiosa di 150mila per il "contributo da parlamentare" dal 2013 («i suoi colleghi hanno già versato nello stesso periodo circa 185mila euro, più i contributi della campagna», rimarca maliziosamente Fava) che fa lievitare il suo debito in modo imbarazzante. La goccia che ha fatto traboccare il vaso di Richetti verso la sua stessa idea di Pd è stata la completa indifferenza del partito sulla riforma e sull' idea di giustizia ("o meglio di giustizialismo") del ministro grillino Bonafede; e qui non si può onestamente dargli tutti i torti. Quel che mi ha incuriosito è come, sull' onestà intellettuale dell' uomo - che può avere tutti i difetti del mondo ma non l' ipocrisia -, si sia espresso Il Fatto Quotidiano on line evocando la fiaba di Andersen I vestiti nuovi dell' imperatore: «Richetti è stato l' unico che ha detto che il re-Conte è nudo, che il suo governo non merita la sua fiducia, perché Conte, alla guida del precedente governo giallo-verde, ha firmato leggi vergognose (decreti sicurezza; legittima difesa), e che se Salvini non avesse deciso di staccare la spina, lui sarebbe ancora presidente del Consiglio di quel governo». La qual cosa, vista dal loro osservatorio rappresenta l' onore delle armi. Il re è nudo, e il bambino è bullizzato dall' ufficiale pignoratore... di Francesco Specchia