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Magistratura, il marcio che nessuno sa cancellare: anche da Alfonso Bonafede soltanto chiacchiere

Davide Locano
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Tanto tuonò che non piovve. Ieri il capo dello Stato ha finalmente riunito il Consiglio Superiore della Magistratura, che Mattarella presiede, per fare il punto dopo le dimissioni a raffica dei suoi membri, seguite alla pubblicazione di diverse intercettazioni nelle quali si dimostrava che i massimi rappresentanti delle toghe decidono chi deve guidare le Procure più importanti d' Italia in trattative notturne, sboccate e intimidatorie, con la partecipazione non straordinaria di autorevoli esponenti del Pd. Il presidente si era detto scandalizzato dal bazar, che invece a noi di Libero non ha stupito affatto, non esercitandosi da queste parti il culto dei giudici come creature superiori e prive delle debolezze degli altri comuni mortali. Come ogni potere dello Stato, la magistratura si spartisce le poltrone in base a logiche politiche e di conoscenza e convenienza. La sacralità della giustizia e l' indipendenza delle toghe sono dei principi nobili trasformati in specchietti per gli allocchi, coperte sotto le quali ognuno cerca di farsi gli affari propri, talvolta anche indecenti. Leggi anche: Giulia Bongiorno, "test psicoattitudinali per magistrati" Per oggi ci si aspettava la rivoluzione, o almeno ci era stata annunciata. Dalla politica, ma anche dai tribunali, si erano levate molte voci a chiedere riforme, dal sorteggio per l' elezione dei membri del Csm, fino al suo scioglimento, con l' aggiunta della tanto invocata e mai fatta separazione delle carriere tra pm e giudici. Mattarella aveva detto di essere scandalizzato. Al dunque però il presidente si è limitato a una dura ramanzina da padre di famiglia indispettito. Ha fatto capire che la magistratura ormai si è sputtanata, ma non ha ribaltato il tavolo e si è limitato a dire «da oggi si volta pagina, sono choccato». I SOLITI GUAI A chi si attendeva qualcosa di concreto sono cascate le braccia. La riforma della magistratura è un po' come la bella di Siviglia, tutti la vogliono e nessuno se la piglia. Tutti la invocano, nessuno la fa. I guai della giustizia sono sempre gli stessi, lentezza, politicizzazione, corporativismo, impunità delle toghe e ciascun italiano li conosce alla perfezione, spesso perché ne è stato vittima, però non ci si azzarda mai a metterci le mani sul serio, non si sa da dove cominciare e, quando qualcuno ci prova, anche poco, viene subito infilzato dalla categoria in toga, che a parole fa ammenda ma non è disposta a rinunciare a nessun privilegio. La vicenda delle dimissioni del Csm, organismo costituzionale di cui solo il 10% degli italiani conosce l' esistenza e che di fatto è l' organo di governo dei giudici, che decide sanzioni, incarichi e promozioni, si è risolta con un riequilibrio politico. I magistrati un po' di sinistra che avevano lasciato sono stati rimpiazzati da colleghi ancora un po' più a sinistra. Delle nomine tramite sorteggio, che hanno riempito pagine di giornali, non si è più parlato. Figurarsi della separazione delle carriere. Mutismo pure sul divieto di tornare in toga per chi ha svolto incarichi politici, auspicato dalla maggior parte dell' opinione pubblica e invocato ieri anche dal vicepremier Salvini. Da divisi e l' un contro l' altro armati come li abbiamo sentiti nelle intercettazioni, i magistrati hanno ritrovato improvvisamente unità, respingendo in blocco l' idea del Guardasigilli Bonafede di farne dipendere la carriera dai risultati. Non vogliamo pagelle, limitano la nostra indipendenza, è stato il refrain. Alla fine, i giudici hanno solo battuto cassa, lamentando carenze d' organico. UN BORDELLO Certo, la giustizia è un bordello e rattopparne le falle non è cosa semplice, anche se esimi giuristi e azzeccagarbugli non mancano nel Paese né in Parlamento. E allora viene il sospetto che non solo non si sappia come riformare la giustizia ma che nessuno di coloro che potrebbero farlo, lo vuole. Non lo vogliono i giudici, che dovrebbero rinunciare a privilegi e impunità oltre a smetterla di fare politica con le inchieste. Ma non lo vogliono neppure i politici, che ormai sono screditati e terrorizzati dall' idea di finire indagati, specie dopo la sfilza di norme antigarantiste e autolesioniste che hanno approvato per saziare la piazza manettara e omaggiare chi poteva ammanettarli. Tutto fa pensare che stiamo già voltando pagina e che magistratopoli verrà archiviata con un nulla di fatto, se non un ulteriore crollo di credibilità del sistema. Personalmente non posso dirmi stupito che esponenti del Pd interferissero nella nomina dei Procuratori, che sono poi quelli che decidono quale politico o cittadino indagare. Anzi, questo ha reso chiaro a me, e spero anche a molti altri, come mai i politici di sinistra vengono indagati meno degli altri. Non è questione di superiorità morale, tanto per intendersi. I cultori del diritto sostengono da sempre che l' avviso di garanzia, che pure ha stroncato molte carriere di innocenti, dovrebbe essere a tutela dell' indagato. Io inizio a percepirlo come una presunzione d' innocenza e a dubitare dei politici non indagati. È un paradosso, ma dà l' idea di quanto davvero servirebbe l' invocata rivoluzione della giustizia. di Pietro Senaldi

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